Coronavirus e supporto psicologico: le aziende diventino punto di riferimento
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Coronavirus e supporto psicologico: le aziende diventino punto di riferimento

In un momento di ansia generale è bene mantenere viva la relazione con chi lavora a distanza e cercare di ridurre lo stress da contagio laddove le attività produttive non si sono fermate. L’impresa deve assumere il ruolo di fattore aggregante, dare informazioni chiare e rispondere alle esigenze delle sue persone.

 

 

L’Italia si ferma, ma non si sono mai fermati del tutto i lavoratori. Le fabbriche e le aziende vanno avanti, pur nel rispetto di nuovi vincoli di sicurezza e in base agli accordi conclusi tra Regioni e sindacati. Il Decreto del Presidente del Consiglio dell’11 marzo, adottato per far fronte all’emergenza coronavirus, ha fatto abbassare molte saracinesche, ma non ha fermato le attività produttive. Né i dubbi e le paure di chi continua, anche a distanza, a svolgere il proprio lavoro.

 

In un periodo di stabilimenti fermi, uffici chiusi e Smart working forzoso, si avverte la necessità di un supporto psicologico per affrontare l’attuale lockdown. Ancor prima che venisse deciso l’irrigidimento delle misure e la loro estensione a tutto il territorio nazionale, Tuttowelfare.info ha chiesto ad alcuni esperti di spiegarci quali sono le necessità del momento e cosa possono fare le imprese per il benessere psicologico dei propri dipendenti.

 

Mantenere il contatto relazionale anche a distanza

 

“Il lavoro agile ha il pregio di far continuare la collaborazione professionale, ma ha anche il difetto di confinare in casa in un momento di grande ansia e tensione generale. A livello percettivo ciò sovraccarica il momento che stiamo vivendo”, spiega Cristina Di Loreto, Psicologa e Consulente di Mindwork, piattaforma di supporto psicologico che opera con singoli cittadini e aziende. Sin dai primi giorni di diffusione del contagio in Italia, il portale ha offerto consulenza psicologica gratuita agli abitanti delle iniziali zone rosse. Ora che le misure di contenimento del virus sono state estese a tutta l’Italia, il rischio di sentirsi isolati è aumentato.

 

Il Dpcm dell’11 marzo chiede ai datori di lavoro di incentivare le ferie del personale, i congedi e la chiusura dei reparti non direttamente legati alla produzione. Le aziende devono spingere per le attività da casa e ogni forma di lavoro a distanza. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2019, in Italia c’erano 570mila smart workers, a fronte di circa 5 milioni di potenziali lavoratori agili. I decreti sull’emergenza hanno dato ampio via libera ai datori di lavoro, autorizzandoli a procedere pure in assenza di accordi sindacali. Tutti a casa, insomma, anche chi non aveva mai sperimentato il lavoro fuori dall’ufficio.

 

Evitare la tensione psicologica del contagio

 

“Non permettendo il confronto con i colleghi né la battuta per sdrammatizzare, lo Smart working elimina quella relazione umana che in momenti del genere è parte integrante della nostra resilienza”, spiega la psicologa. Fondamentale è, quindi, cercare di mantenere il contatto relazionale con i colleghi. “Per conservare un buon clima e una buona produttività, ma anche la soddisfazione del dipendente e dell’azienda stessa, bisogna riorganizzarsi”. È importante lavorare su comunicazione, informazione e trasparenza e avere momenti di raccordo con il proprio team per parlare di cosa si sta affrontando, fare il punto sulla situazione, dare e ricevere feedback. “Sono utili momenti di incontro con sessioni di multiconferenza coordinata: è bene utilizzare il più possibile i mezzi tecnologici anche per far sentire la presenza del team leader”.

 

Non tutte le aziende, però, possono convertirsi allo Smart working. Le attività produttive non sono state bloccate e continuano ad andare avanti, purché in ogni luogo di lavoro siano garantite le distanze di sicurezza tra i lavoratori, adottate protezioni individuali e limitati gli spostamenti. Se il datore di lavoro ha predisposto un contesto igienico-sanitario sicuro, il dipendente non può decidere di rimanere a casa. “C’è tutta una categoria di lavoratori che non può essere messa in telelavoro ed è esposta alla tensione psicologica del contagio, che ha un effetto limitante negativo sulla vita quotidiana delle persone”, continua Di Loreto. “Le aziende devono adottare strumenti che permettano ai propri dipendenti di avere una finestra sul mondo o che evitino il confinamento emotivo. Lo stress ha un’influenza importante anche sulle difese immunitarie: sentirci già malati non ci aiuta a stare meglio”.

 

L’azienda deve porsi come punto di riferimento

 

L’azienda, dunque, è caricata di una responsabilità importante, soprattutto in tempi di emergenza. Oltre a predisporre strumentazioni e misure di supporto adeguate, deve porsi come punto di riferimento per i dipendenti. “L’azienda non è solo il luogo in cui si fa business, ma è anche un insieme di persone che condivide storie personali, prospettive, obiettivi, valori”, sottolinea Diego Scarselli, Psicologo Psicoterapeuta e Responsabile operativo di Stimulus Italia, società di consulenza che fornisce supporto psicologico sette giorni su sette h24 ai dipendenti delle imprese clienti. “Ogni posto di lavoro è diverso dall’altro. L’azienda deve fare un salto di qualità e cogliere l’occasione per essere percepita come fattore identitario e riferimento culturale: conosciamo le regole da seguire per evitare il contagio, ma è importante anche che l’azienda le faccia sue e le proponga come parte del suo lavorare insieme”.

 

Accrescere il senso di appartenenza è, dunque, la strada per accrescere anche la consapevolezza delle persone e dei loro bisogni. Scarselli propone di recuperare un concetto di collettività più vicino a quello tipico della cultura orientale, in cui l’identità della persona include la sua dimensione sociale, il suo essere parte di un’organizzazione o di una società. Soprattutto in momenti di crisi. “Non bisogna commettere l’errore di pensare che l’angoscia derivi unicamente dalla dimensione medico-sanitaria del problema”, spiega. “È legata prima di tutto alla necessità di una transizione, di un cambiamento di cui non si conoscono tempistiche ed evoluzione e neppure fino a che punto impatterà sul proprio equilibrio personale”.

 

L’incertezza acuisce l’angoscia del momento. A maggior ragione se la situazione evolve rapidamente, passando in pochi giorni da un’allerta limitata a una zona rossa estesa. “Le persone sentono di non avere il controllo della situazione e tendono ad avere le reazioni più primitive, sottovalutando o ingigantendo il problema. Bisogna affidarsi alle indicazioni che arrivano dalle istituzioni e sostituire il bisogno di controllo con la possibilità di gestione”.

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giorgia.pacino@tuttowelfare.it