Ignoranza finanziaria

Ignoranza finanziaria

Con le competenze economiche basse in Italia siamo a forte rischio frode. Serve un nuovo ruolo della scuola. E aver voglia di migliorare le conoscenze finanziarie.

 

A fine aprile 2021 la Commissione europea e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) hanno lanciato un progetto comune per promuovere l’educazione finanziaria nei cittadini dell’Unione europea. Il programma è rivolto a giovani e adulti e, inizialmente, è previsto possa contribuire a stilare un elenco di termini base di alfabetizzazione finanziaria che siano comuni in ogni Paese. Una sorta di abbecedario della finanza.

 

In Italia, d’altronde, già nel 2020 eravamo agli ultimi posti in Europa per educazione finanziaria dei giovani, e non solo. Lo certifica l’ultima indagine di Ocse in collaborazione con il Programme for International Student Assessment (Pisa): solo il 4,5% degli studenti italiani ha raggiunto il massimo livello certificato dalla ricerca, mentre la media Ocse è più che doppia (siamo sotto la media dei Paesi industrializzati per consapevolezza economica). Anche se le ultime indagini di Banca d’Italia sugli adulti indicano che, nel complesso, le competenze sono migliorate, alcuni gruppi della popolazione mostrano ancora livelli molto bassi e risultano esposti a rischi di truffe e frodi finanziarie.

 

Perché dunque le competenze finanziarie degli italiani faticano a migliorare? Quali fattori sono intervenuti in questi anni nei processi di socializzazione finanziaria degli italiani? Cosa non ha funzionato nell’implementazione degli interventi dedicati all’educazione finanziaria? Cosa ha funzionato, ma può essere migliorato? Oppure, è forse un problema legato al tipo di ricerche condotte in Italia sulla financial literacy?

 

Tante attività di alfabetizzazione finanziaria, ma senza linee guida

 

Il secondo workshop nazionale dell’Osservatorio nazionale di educazione economico finanziaria (Oneef) ha tentato di rispondere a queste domande con l’aiuto di esperti ed esperte del settore. Emanuela Rinaldi, Responsabile Scientifico Oneef, per esempio, ha condiviso i risultati dell’indagine nazionale Oneef 2019-2020 sui programmi di educazione finanziaria in Italia.

 

È emersa, innanzitutto, una maggiore partecipazione rispetto al passato di enti progettisti diversi dalle banche (community, associazioni culturali, associazioni di categoria) anche attraverso la costruzione di reti. Alcuni di questi soggetti, poi, hanno definito obiettivi chiari e specifici per target mirati nei progetti, che passano dal 20% nel 2018, al 30% nel 2019-20. Questi target comprendono le persone che hanno livelli di competenze finanziarie più basse, cioè donne, anziani o migranti. Inoltre, nel 2020 molti progetti sono stati realizzati online a causa della pandemia, quindi si è verificata una riduzione delle disuguaglianze territoriali (prima il Sud Italia era più svantaggiato).

 

Gli aspetti negativi, invece, hanno evidenziato: una prevalenza di iniziative spot (46%) rispetto a programmi più strutturati (di almeno due incontri); una scarsa attenzione all’ascolto dei destinatari dei programmi; un mancato collegamento alle linee guida Ocse e di altri enti del settore; un’attenzione limitata alle fasi di valutazione e monitoraggio dei progetti e al tema dell’accessibilità digitale; una costante difficoltà nel dialogo tra ricerca accademica e attività di altre istituzioni. “È fondamentale valorizzare il dialogo tra gli esperti e la scuola, senza dimenticare di progettare i corsi in base alle reali esigenze dei fruitori, che devono essere ascoltati senza decidere prima tutto a tavolino”, è il suggerimento di Rinaldi.

 

La scuola non è percepita come soggetto affidabile

 

Nadia Linciano, Responsabile dell’Ufficio Studi Economici della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), ha presentato uno studio sulle attitudini degli italiani verso l’educazione finanziaria nel 2021. Le persone interpellate sono stati i decisori finanziari all’interno delle famiglie. Il primo dato significativo è che le loro conoscenze economiche derivano da esperienze professionali (42%), interessi personali (40%), esperienza nella gestione del budget familiare (41%), famiglia di origine (38%). In questa risposta, quindi, manca del tutto la scuola. “Le famiglie, oltre ai percorsi scolastici, possono contribuire tantissimo all’innalzamento delle competenze finanziarie dei soggetti più deboli”, ha affermato Linciano. Il 56% degli intervistati, infatti, ha dichiarato di aver imparato a risparmiare in famiglia.

 

Se dovesse prendere una scelta importante, invece, il 35% del campione si affiderebbe a soggetti di fiducia, il 24% non proverebbe a imparare qualcosa in più e il 29% non saprebbe a chi rivolgersi per imparare. “Perché il 24% delle persone non vuole ampliare le proprie conoscenze? Probabilmente perché in Italia l’educazione finanziaria viene percepita come una materia complessa o non si è consapevoli dei propri gap”, ha ipotizzato Linciano. La ricerca ha poi indagato le conoscenze finanziarie effettive e quelle percepite tramite alcune domande specifiche: circa il 50% delle risposte erano giuste, ma resiste un 30% che crede erroneamente di sapere tutto ciò che serve.

 

Il 71% dei decisori ritiene comunque difficile far fronte a spese inattese, il 69% crede sfidanti i propri obiettivi finanziari, il 50% non ha fiducia negli intermediari e il 49% è preoccupato del mantenimento dell’attuale standard di vita in età pensionabile. Il 77% è avverso al rischio, ma un 31% è tollerante verso le perdite di breve periodo. “Queste risposte ci suggeriscono che le prossime sfide dell’educazione finanziaria partono dall’engagement a scuola per innalzare la motivazione e migliorare i processi decisionali, intercettando i bisogni dei più giovani e utilizzando canali e strumenti diversificati, come la gamification o l’uso di App dedicate”, ha consigliato Linciano.

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