Il welfare aziendale genera felicità (e parità)

Il welfare aziendale genera felicità (e parità)

Una persona su cinque dichiara di avere carichi di cura che impattano in modo severo sul lavoro. Di queste, la maggioranza sono donne. Ma un piano di welfare adeguato può migliorare la situazione.

 

Le donne si sentano meno felici sul lavoro rispetto agli uomini, sia per il compenso sia per le opportunità di carriera. Lo sostiene – tra gli ultimi – l’Osservatorio sulla felicità, per cui il 41% delle lavoratrici è insoddisfatta della retribuzione (contro il 28% degli uomini), e il 44% delle donne si dice non contenta delle opportunità di sviluppo di carriera (gli uomini sono il 35%). L’analisi dell’Associazione ricerca felicità ha coinvolto 1.314 persone (42,3% donne e 57,7% uomini), suddivise tra lavoratori dipendenti (72%) e liberi professionisti (28%), appartenenti alle generazioni Baby Boomer, Generazione X, Millennial e Generazione Z in rappresentanza della popolazione italiana attiva nel mondo del lavoro.

 

“La discrepanza emersa crediamo sia stata accentuata dalla pandemia, che sembra aver colpito più duramente le donne”, ha commentato Elga Corricelli, Co-Founder dell’Associazione ricerca felicità. “Alla dimensione dell’Home working – dato che non riusciamo a definirlo ‘Smart working’, essendo privo della componente ‘Smart’ – si sono aggiunti i costanti impegni familiari, appesantendo i carichi di lavoro”.

 

I dati più recenti dell’Istat, infatti, lo confermano: l’occupazione registrata a dicembre 2020 è stata più bassa di quella registrata un anno prima (-1,9%). La riduzione dell’occupazione ha corrisposto, però, in valori assoluti, a 444mila persone occupate in meno: di queste, 312mila sono donne (poco più del 70%). Il lato nascosto di questo dato è il lavoro domestico e di cura – specialmente nei confronti dei figli – che è stato trasferito quasi completamente sulle spalle delle madri a causa della chiusura delle scuole per la pandemia.

 

I sintomi di malessere aiutano a capire le sfumature delle differenze di genere

 

Anche la percezione della felicità è diversa tra uomini e donne: complessivamente, il campione interrogato ritiene che gli altri li vedano più felici di quanto loro stessi non si sentano. Questa sensazione è più evidente per le donne rispetto agli uomini. La differenza fra chi dice di apparire agli altri molto felice (39% per le donne e 36% per gli uomini) rispetto a sentirsi veramente così (26% per le donne e 31% per gli uomini) è di circa 13 punti percentuali.

 

Secondo Corricelli, questa diversità può essere appianata con una relazione generativa all’interno dell’azienda. Realizzarla significa avere un ascolto attivo e costante per realizzare dei percorsi in cui non ci si senta giudicati, ma ci si possa esprimere liberamente, dichiarando i propri bisogni, mostrando i propri talenti e creando un rapporto autentico con i leader, con i colleghi e con l’ambiente circostante. Il 12% dei rispondenti al sondaggio, infatti, ha dichiarato che in ambito lavorativo l’affermazione “mi aiuta a capire me stesso” sia assolutamente falsa, così come il 12,2% crede che l’espressione “l’ambiente mi fa sentire compreso” non sia veritiera. “Sebbene si tratti di una ristretta minoranza, non vanno sottovalutati questi indizi, poiché anche all’interno di piccoli sintomi di malessere si possono indagare e comprendere le differenze di genere”, ha affermato Sandro Formica, Vice Presidente e Direttore scientifico dell’Associazione ricerca felicità.

 

Anche il programma di Sviluppo umano delle Nazioni unite ha ribadito più volte quanto sia urgente e necessario un capovolgimento di sguardo in cui le donne vengano riconosciute come protagoniste delle scelte del futuro. Servono strumenti adeguati di welfare (anche aziendale), servizi educativi per l’infanzia, infrastrutture sociali. In molte imprese italiane, per esempio, una persona su cinque dichiara di avere carichi di cura che impattano in modo severo sul lavoro. E spesso, in una netta maggioranza dei casi, si tratta di donne. I piani di welfare aziendale dovrebbero quindi includere sempre più servizi di carattere sociale, da erogare sul territorio e da integrare nelle risposte pubbliche già presenti.

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