Il welfare si fa flessibile

Il welfare si fa flessibile

Da risposta ai bisogni il welfare aziendale diventa componente della remunerazione globale

 

Con la digitalizzazione e l’emergenza sanitaria sta sempre più prendendo piede il lavoro da ogni dove,
che porta con sé una serie di nuovi bisogni dei collaboratori. La pandemia è stata un campanello d’allarme che ha fatto comprendere a molte aziende la necessità di superare i pacchetti di benefit standard e preconfezionati, in favore di soluzioni alle difficoltà individuali delle risorse. In questo contesto il welfare può rappresentare inoltre un’importante leva del Total reward del dipendente, sia in termini di attraction di nuovi talenti sia di retention.

 

Nel 2019 solo il 15% delle imprese italiane faceva Smart working. Il dato è salito al 77% nell’anno della pandemia (i numeri sono emersi da una recente ricerca di Microsoft e riguardano le imprese che hanno dichiarato di aver cambiato la modalità di lavoro). Un’accelerazione importante è stata data dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo: una spinta verso un nuovo modo di lavorare, che si trasformerà, per molte realtà, in normalità. Ma al di là dei noti approfondimenti legati a questa new way of work, il nuovo modo di lavorare ha un impatto anche sul fronte retributivo. E quale può essere il ruolo del welfare nel comporre parte del Total reward? Un dato sicuramente positivo è che nonostante la crisi economica del 2020, che ha portato una caduta del Pil pari all’8,9% (Istat) e una riduzione del reddito disponibile per le famiglie del 3% (Banca d’Italia), il welfare ha continuato a resistere, con 850 euro di credito pro capite, contro gli 860 euro del 2019 (dati raccolti dall’Osservatorio welfare di Edenred).

 

Con l’implementazione dello Smart working l’evoluzione naturale della retribuzione potrebbe riguardare, secondo molti esperti, la misurazione della prestazione in base agli obiettivi e non più alle ore lavorate. E nelle nuove forme di lavoro ci si immagina che il welfare debba includere servizi smaterializzati, per adattarsi al lavoro ‘liquido’, e iniziative legate al territorio che vanno nella direzione di quella che viene definita “città a 15 minuti”, ovvero dove gli spazi abitativi si trovano a breve distanza dai servizi e dal luogo di lavoro. Tutto ciò, però, è possibile solo attraverso il cambio di modelli organizzativi. In quest’ottica come si stanno muovendo le aziende? Ne abbiamo parlato con alcuni player di mercato.

 

*L’articolo integrale è pubblicato all’interno del numero di Aprile 2021 di Persone&Conoscenze.
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francesca.albergo@este.it