Lavoro a tempo pieno solo dopo i 40 anni?

Lavoro a tempo pieno solo dopo i 40 anni?

Una ricerca del prestigioso Stanford center on longevity sostiene che sia necessario un nuovo modello organizzativo per il lavoro che porti le persone a un impiego part-time fino ai 40 per prendersi meglio cura di figli e genitori anziani, in modo da dedicarsi alla carriera e al tempo pieno solo più tardi, complice l’allungamento dell’aspettativa di vita.

 

Mentre in Italia è più che mai aperta la discussione sulla revisione della Legge Fornero che porterebbe gli italiani ad andare in pensione prima, negli Usa esce una ricerca  firmata dal prestigioso Stanford center on longevity, in base alla quale oggi l’organizzazione della vita e del lavoro è completamente sbagliata.
La ricerca si basa su due considerazioni. La prima è che alla soglia dei 40 anni la vita della maggior parte delle persone è piena di impegni difficili da conciliare: lunghe ore da passare in ufficio, bambini piccoli da seguire, genitori non più giovani dei quali prendersi cura. Eppure tutti aspirano a un lavoro a tempo pieno, che però è la prima causa della costante mancanza di tempo. La seconda è l’aumento dell’aspettativa di vita. Da qui sono partiti gli  studiosi americani e si sono chiesti  se  esiste la possibilità per vivere più serenamente prima degli “anta”, concentrandosi sulla carriera in un momento successivo. «Attualmente la vita lavorativa termina bruscamente intorno ai 65 anni, quando in realtà si è ancora molto produttivi», ha spiegato il direttore dello Stanford center on longevity, Laura Carstensen. «Sarebbe invece meglio pianificare una carriera più lenta, che preveda il full time solo dopo i 40 anni e che sia ricca di interruzioni, necessarie per apprendere e per seguire gli impegni familiari». Insomma, per gli studiosi statunitensi abbiamo bisogno di un nuovo modello perché quello attuale non si concilia con i ritmi reali della vita. «Smettere di lavorare a 66 anni, quando si è ancora attivi, non solo è economicamente insostenibile, ma può creare anche disagi di natura psicologica», ha aggiunto l’esperta. Invece sarebbe meglio distribuire gli impegni professionali lungo un arco temporale più ampio, allungando i periodi di apprendistato e cominciando il tempo pieno solo dopo i 40 anni.

 

Rivoluzione irrealizzabile in Italia

 

Ma tutto questo sarebbe realizzabile in Italia? Tuttowelfare.info lo ha chiesto a Francesco Bacchini, docente di Diritto del lavoro all’università Milano-Bicocca: «La ricerca si muove all’interno di un sistema lavorativo, quello statunitense, particolare e molto distante dal nostro. Nel quale la vita lavorativa inizia sensibilmente prima e l’occupazione è molto più dinamica e flessibile, con meno tutele e meno diritti. Trovo quindi impossibile trasferirla nella nostra realtà», ha detto il docente, che poi ha aggiunto: «Con l’innalzamento dell’età per l’ottenimento della pensione un po’ dappertutto oltre i 65 anni, per arrivare progressivamente a 70 e probabilmente oltre, le carriere sono già decisamente più lunghe. Inoltre le interruzioni, spesso subite piuttosto che pianificate, già ci sono e continueranno a esserci almeno nel nostro diritto del lavoro».

 

Ci vogliono comunque nuovi modelli

 

Detto questo è indubbio però che qualcosa dovrebbe comunque cambiare. «Sarebbe corretto prevedere e disciplinare, in modo molto più incisivo rispetto a oggi, astensioni o aspettative dal lavoro anche per aggiornamento professionale e formazione certificata a tutti i livelli di mansione e inquadramento lavorativo», dice l’esperto. «Nel nostro ordinamento sono già regolate astensioni obbligatorie e facoltative per i genitori in relazione alla cura dei figli, che potrebbero aumentare nella durata, soprattutto per i padri», ha spiegato Bacchini. «Inoltre sono disciplinate a livello di contrattazione collettiva anche ipotesi di aspettativa per attività di formazione. Sono poi previsti permessi per accudire i parenti disabili. Si potrebbe rivedere il loro numero, la modalità di fruizione e durata, ma soprattutto bisognerebbe utilizzarli con convinzione e in modo corretto. In ogni caso l’erogazione di tempi di vita aggiuntivi per conciliare il lavoro con le attività familiari o le passioni individuali inizia a diventare anche strumento di contrattazione aziendale quale vero e proprio benefit, diretto o indiretto, rientrate nel c.d. pacchetti di welfare aziendale».

 

L’ingresso nel mondo del lavoro tardivo non lascia chance

 

In questo quadro le ipotesi di cambiamento radicale, in Italia, non sono quindi praticabili. «Funzionale o meno, il modello attuale non ha alternative perché il nostro sistema è caratterizzato da un ingresso stabile nel mondo del lavoro a un’età tutt’altro che giovane, ben oltre i 25 anni», ha ribadito l’esperto. «Le ultime disposizioni di legge che incentivano l’assunzione di giovani prevedendo fino a 3mila euro di sconto contributivo per i datori di lavoro definiscono, implicitamente, giovane chi non ha compiuto il 35esimo anno di età. Direi che, senza saperlo e ovviamente non volendolo, in Italia la visione di questa ricerca finisce quasi per avverarsi; peccato però che spesso fino a quell’età si lavori poco e male non per scelta di vita ma per necessità».

 

Full time si, posto stabile no

 

Cosa aspettarsi quindi per il prossimo futuro? «Dobbiamo aspettarci modelli organizzativi sempre più flessibili rispetto al tradizionale rapporto di lavoro dipendente stabile, sempre più destrutturati rispetto al tradizionale rapporto luogo e tempo di lavoro, ufficio o fabbrica che sia», conclude l’esperto. «Il posto fisso, nell’attuale sistema economico-produttivo profondamente modificato dall’automazione e dall’evoluzione tecnologico-digitale, è destinato a giocare un ruolo sempre più limitato nel mercato professionale in molti dei settori più innovativi dell’industria, del commercio e dei servizi. Questi saranno infatti caratterizzati da una sempre maggiore flessibilità organizzativa dei processi, delle forme, delle applicazioni e delle modalità di prestazione del lavoro». Insomma, la parola d’ordine nel prossimo futuro sarà flessibilità. Ma una rivoluzione che introduca il full time solo dopo i 40 anni è un’ipotesi quasi irrealizzabile.

 

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daniela.uva@tuttowelfare.info