Lunga vita al welfare aziendale

Lunga vita al welfare aziendale

Secondo gli attori principali di questo mercato, la pandemia da Covid-19 ha stimolato le aziende a tornare ai ‘fondamentali’ del welfare: il benessere del personale e i servizi legati alla sanità

 

In questo momento storico, per chi si occupa di welfare aziendale è d’obbligo individuare alcune linee guida per orientarsi. È con questo spirito che Tuttowelfare.info ha riunito in una tavola rotonda virtuale, una dozzina di player di welfare che hanno raccontato ciò che sta succedendo e quanto stanno osservando dai loro osservatori. Il quadro emerso è realmente complicato: stiamo vivendo una fase di transizione e un’analisi frettolosa rischia di far giungere a conclusioni affrettate.

 

Per prima cosa si deve ammettere che nel 2021 hanno attivato piani di welfare più aziende di quelle che lo avevano fatto nel 2019. C’è di certo una maggiore conoscenza; merito – almeno in parte – anche dell’attività formativa promossa dagli stessi player di mercato, ma pure dei lavoratori che sono sempre più interessati affinché le aziende si prendano cura del proprio personale. Tuttavia, serve tenere conto di un aspetto molto importante: in Italia il 97% delle aziende ha meno di 50 dipendenti e circa l’80% ne conta addirittura meno di 10. Se il welfare vuole avere un futuro, la sfida è il confronto con le imprese di queste dimensioni. Per qualcuno significa ampliare i servizi disponibili sulle piattaforme, lasciando la più vasta scelta possibile agli utenti, senza ridurre il welfare a un mero assistenzialismo. Altri, però, la pensano in modo diametralmente opposto…

 

Secondo gli attori principali di questo mercato, la pandemia da Covid-19 ha stimolato le aziende a tornare ai ‘fondamentali’ del welfare: le organizzazioni hanno scelto di puntare sul benessere del personale e sugli aspetti più basici, come i servizi legati alla sanità. Secondo i dati diffusi dall’Ocse, prima dell’arrivo del Coronavirus, l’Italia era il Paese con la maggiore spesa sanitaria out-of-pocket, cioè sostenuta direttamente dai cittadini; la pandemia ha probabilmente acuito il problema e in molte occasioni ha messo a nudo le già note difficoltà del servizio sanitario. Da qui l’invito a puntare soprattutto sui programmi di prevenzione, attuabili proprio con il welfare aziendale, ma anche sul far aderire le persone ai piani di sanità integrativa.

 

Ma c’è un’altra questione che il virus ha svelato e riguarda la crescita esponenziale dei caregiver, cioè coloro che si prendono cura di una persona malata. Prima del Covid-19, secondo l’Istat, si trattava di un popolo di 13 milioni di persone; oggi per il Censis il fenomeno riguarda almeno un lavoratore su due. In questo scenario i flexible benefit proposti dalle aziende non sono adeguati per rispondere a questa necessità; dunque per qualche player serve ripartire dai bisogni veri delle persone.

 

Con la crisi, i piani di welfare sono a rischio

 

La pandemia ha poi inciso in modo drammatico sui fatturati di numerose aziende di vari settori; tra le conseguenze c’è il fatto che sono diminuiti i fondi destinati al welfare che, come è noto, è alimentato dagli investimenti ‘on top’ e dai Premi di risultato. La conseguenza è che il welfare, proprio nel momento in cui ce ne sarebbe maggiore bisogno, rischia di non poter dare il suo contributo. Qualcuno insiste allora nel chiedere una nuova e più adeguata leva fiscale: d’altra parte è stato proprio per merito di una riforma che ha puntato su questo aspetto che nel 2016 il welfare è tornato nelle agende delle aziende.

 

Il welfare, dicono gli esperti, riveste un ruolo decisivo anche rispetto alla questione dell’ingaggio del personale: non solo per attrarre i candidati, ma pure per coinvolgere coloro che già fanno parte dell’organizzazione e con i quali serve ‘recuperare’ la relazione dopo i lunghi mesi di pandemia (gli ultimi dati disponibili sui lavoratori da remoto indicano che nella nuova normalità ci si assesterà su quota 5,3 milioni, contro i circa 6,6 milioni di marzo 2020).

 

Per quanto riguarda l’engagement dei più giovani, poi, qualcuno inizia a preoccuparsi della bassa natalità che si tradurrà presto nella mancanza di persone da inserire in azienda (e quindi nella ‘lotta’ serrata per ingaggiare i migliori talenti). I dati, su questo aspetto, sono già drammatici: per l’Istat negli Anni 60 c’erano 18 nati ogni 1.000 abitanti, ora siamo a 7,3; nel 2021 si stima che nasceranno circa 390mila bambini e nel 2050 scenderemo sotto la soglia dei 350mila. A complicare le cose poi c’è la mancanza di competenze: oggi è paradossale che a fronte dell’aumento del livello di disoccupazione, ci sono migliaia di posti di lavoro che non trovano candidati adeguati. Il welfare si configura quindi come un’ulteriore leva di ingaggio e per questo accanto ai servizi ‘di base’ il suggerimento è di offrire alla Direzione HR soluzioni più innovative, così da conquistare platee sempre più vaste.

 

Intanto la popolazione invecchia sempre di più e non a caso si parla di Silver economy: va da sé che tocca ancora al welfare metterci una pezza, magari con i piani di previdenza integrativi che prenderanno il posto dei servizi più legati al ‘life style’.

 

Lavoratori stanchi dello Smart working

 

Anche il modello di lavoro inciderà sul futuro del welfare aziendale. È stato rilevato che i lavoratori iniziano a essere stanchi di lavorare in Smart working (c’è però da precisare che bisognerebbe ammettere che la fatica riguarda il Remote working, profondamente diverso dal lavoro agile regolato dalla Legge 81/2017): le indagini dei player di welfare sostengono che un lavoratore su due boccia lo Smart working al 100% e il 40% del personale desidera tornare in ufficio. Dunque, chi propone servizi di welfare è chiamato a trovare soluzioni che tengano conto che presto saranno numerosi i lavoratori che usciranno di casa per lavorare e il pranzo tornerà a essere consumato lontano dall’abitazione, ma non potrà essere la stessa esperienza vissuta pre pandemia.

 

Infine c’è un ultimo aspetto che pare mettere d’accordo tutti i player di welfare e riguarda l’obbligo di digitalizzarsi che ha stimolato un vasto aggiornamento delle nostre aziende e di tutto il Paese. Abbiamo avuto bisogno di una pandemia per capire che il futuro passa dal digitale e in questo senso anche il welfare è chiamato ad adeguarsi offrendo soluzioni che siano di facile accesso e utilizzo. Va in questa direzione la valutazione dei servizi che passa addirittura dal numero di clic necessari per accedere al bene proposto. Tra le tante considerazioni e le diverse posizioni emerse dal confronto, c’è però un aspetto condiviso da tutti. Il welfare aziendale è tutt’altro che al capolinea.

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