Oltre la busta paga c’è di più

Oltre la busta paga c’è di più

Studi e sondaggi dimostrano come ormai nella ricerca del lavoro entrino in gioco fattori diversi dal salario, quali flessibilità, ambiente lavorativo, formazione, possibilità di carriera o equilibro vita-lavoro.

 

 

Lo stipendio non basta più. I lavoratori, soprattutto quelli più giovani, cercano altro dalle aziende: benefit non monetari e meno tangibili, ma con un peso altrettanto significativo sulla qualità della vita e sulla propria performance in azienda. Aspetti che molti dipendenti sono pronti a barattare con parte della busta paga e che vengono considerati prioritari anche da chi è in cerca di un impiego.

 

A dimostrarlo sono diversi ricerche. Una di queste è l’ultimo rapporto Salary Satisfaction dell’Osservatorio JobPricing, specializzato nell’analisi del mercato del lavoro e delle dinamiche retributive in Italia. Dal sondaggio emerge che, tra le ragioni che fidelizzano il dipendente all’azienda, la busta paga è scesa in fondo alla classifica, citata solo dal 27% degli intervistati: ben più importanti risultano essere le relazioni personali, poi l’ambiente di lavoro e l’equilibrio vita-lavoro.

 

Viceversa, tra i tre motivi per cui si è disposti a cambiare posto di lavoro, c’è – questa volta sì – in testa la retribuzione, ma al secondo posto compaiono la formazione e la possibilità di fare carriera (soprattutto tra gli inquadramenti più bassi) e al terzo posto di nuovo la conciliazione tra vita personale e professionale.

 

Risultati confermati anche da uno studio condotto da Hunters Group, società che si occupa di ricerca e selezione di personale specializzato, e riportato dal quotidiano Il Sole 24Ore: ancora una volta tra le cose che i lavoratori desiderano di più in azienda ci sono la flessibilità oraria e la possibilità di lavorare da casa, i programmi di formazione e aggiornamento e i servizi di supporto alla vita quotidiana e familiare.

 

“Si tratta di un tema antico che oggi sta subendo un nuovo sviluppo”, spiega a Tuttowelfare.info Luciano Pilotti, Docente di Management e Strategie d’Impresa all’Università degli Studi di Milano. “I lavoratori prediligono da sempre attività in cui venga tenuto in considerazione il loro benessere fisico, dalla prevenzione degli incidenti alla tutela nei confronti delle malattie, alla salubrità degli ambienti”.

 

“Negli ultimi 20 anni, però, questo aspetto si è evoluto, perché si fa riferimento a un benessere che non è solo fisico, ma soprattutto emotivo, che è poi mentale e relazionale: si vuole dare un senso alla propria occupazione, dato che le dedichiamo oltre il 70% del nostro tempo ogni giorno e si vorrebbe che poi tutto questo avesse riflessi positivi anche sulla vita privata e familiare. Si è disposti quindi a scambiare parte della propria remunerazione con una migliore condizione emotiva di lavoro e a favore di contesti relazionalmente più accoglienti. Con questo, alla soddisfazione si aggiungerà un benessere senza aggettivi e – probabilmente – anche maggiore felicità”.

 

Una strategia che non fa bene solo al dipendente, ma anche all’impresa stessa: “Maggiore è il benessere delle persone, maggiore sarà il loro contributo in termini di performance, innovazione e creatività”, dice Pilotti.

 

L’attrattività del posto di lavoro

 

Vanno nella stessa direzione i risultati della classifica Randstad employer brand, che ha interpellato un campione rappresentativo di 7.700 occupati, non occupati e studenti chiedendo a loro quali fattori rendano un posto di lavoro attrattivo tra 150 aziende con oltre 1.000 dipendenti e sede in Italia.

 

La scelta è ricaduta su Ferrero (per il quarto anno consecutivo): pesano la solidità dell’azienda, l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, il tipo di ambiente di lavoro e l’attenzione alla sostenibilità sociale. Le interviste hanno rilevato che l’elemento più ricercato è proprio l’equilibrio fra vita professionale e privata (53%), seguito dall’atmosfera positiva del posto di lavoro (52%). Retribuzione e benefit sono solo al terzo posto, citati dal 47% degli intervistati (che in questo caso hanno indicato come azienda dei sogni Lamborghini, in terza posizione dopo Ferrero e Bmw). Al quarto posto, infine, vengono la sicurezza dell’impiego e le opportunità di carriera.

 

“Significa rilevare l’importanza strategica di investire sul capitale umano e, inoltre, sul capitale semantico (ambientale e relazionale) dell’impresa per accrescere il valore del capitale sociale della comunità di riferimento che la rivoluzione di Industria 4.0 accelerano ulteriormente”.

 

Giovani meno sensibili alla remunerazione

 

Ma tutto dipende anche dall’età: secondo lo studio di Randstad, per la Generazione Z (18-24 anni) il fattore più importante è l’atmosfera piacevole in ufficio (56%), per i Millennial (25-34 anni) è l’opportunità di fare carriera (42%), per la Generazione X (35-54 anni) la priorità va alla vicinanza del posto di lavoro a casa, mentre per gli Over 55, i Baby Boomer, l’attenzione è puntata sulla solidità finanziaria dell’azienda.

 

I giovani sono meno sensibili alla remunerazione in senso stretto: guardano piuttosto all’esperienza, al contesto lavorativo, alla tolleranza e all’apertura culturale perché sanno che da quello dipenderà la loro crescita professionale futura”, continua Pilotti. “È evidente per un senior che deve mantenere la famiglia ha come punto di riferimento il salario, ma la tendenza a valutare anche i benefit non monetari sta coinvolgendo anche loro: si preferisce inserire nei contratti  (componenti defiscalizzate e che riducono il cosiddetto cuneo fiscale) le spese per la salute, i figli o l’assistenza dei familiari anziani, tra gli obiettivi di conversione (totale o parziale) del premio di risultato, proprio escludendole dal reddito ai fini Irpef. Integrando dunque, i servizi che il sistema pubblico svolge con sempre maggiore difficoltà. C’è la necessità di mettere in collegamento ciò che avviene dentro e fuori l’azienda”.

 

Secondo Pilotti in Italia la consapevolezza di queste dinamiche è ancora acerba, sia da parte delle imprese sia da parte dei lavoratori, che sono ancora poco informati sulle opportunità delle componenti extra-monetarie del reddito. Questi ultimi vedono ancora nello stipendio il criterio più importante con cui valutare un impiego. D’altro canto, le aziende non sempre si rendono conto di avere a che fare con un capitale umano, con persone il cui grado di benessere è importante anche ai fini del rendimento generale dell’impresa.

 

“Le organizzazioni vivono in grande deserto delle emozioni, non capiscono ancora a fondo che migliorare il benessere dei propri dipendenti aumenterà il loro coinvolgimento e tutti saranno più soddisfatti, migliorando creatività e produttività”, spiega il docente. Oltre al fatto che la cura degli aspetti extra monetari si traduce anche in un potente strumento di employer branding: “Così facendo le imprese riescono ad accogliere i talenti migliori, vendendosi sul mercato come realtà accoglienti, tolleranti e capaci di valorizzare il merito. Migliorando engagement e mindfulness verso una più robusta e diffusa “fioritura umana” della quale vi è urgente bisogno con incentivi a modelli organizzativi partecipativi (odl e utili, e anche capitale) e fortemente orientati alla responsabilizzazione “oltre” il controllo per una nuova cultura d’impresa 4.0”.

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manuela.gatti@tuttowelfare.it