Parola d’ordine: partecipazione

Parola d’ordine: partecipazione

Non c’è vero welfare senza il coinvolgimento dei dipendenti  nella vita dell’azienda e nella sua organizzazione, che deve essere modificata per ottenere il massimo dei risultati e dell’efficienza. Nel nome della produttività. Una sfida culturale che apre nuovi scenari nelle Relazioni Industriali.

 

 

Le trasformazioni del lavoro e della relazione tra impresa e lavoratore sono sempre più incentrate sulla necessità di contrattare innovazione organizzativa finalizzata agli incrementi delle performance. Ciò anche al fine di assecondare il crescente rilievo al valore apportato da ciascuno nell’organizzazione complessiva dei cicli produttivi, valorizzandone la soggettività e quindi le competenze e le capacità.
Queste trasformazioni, per potersi tradurre in efficaci pratiche d’innovazione nei luoghi di lavoro e accrescere la competitività aziendale richiedono gradi crescenti di partecipazione attiva da parte dei lavoratori e dosi non meno rilevanti di attenzione, da parte delle imprese, al rapporto esistente tra vita e lavoro se si vuole che quel potenziale possa essere pienamente liberato. Quest’ultimo è il campo d’azione delle pratiche di Welfare Aziendale (WA).
Così inquadrati, WA e partecipazione sono due sfide culturali che hanno come denominatore comune il sostegno di alcuni interessi dei lavoratori che si pongono, però, in stretta sinergia rispetto alle evoluzioni che, sul piano organizzativo, le imprese sono interessate a realizzare.

 

Dalla teoria alla pratica

 

Se l’umano è oggi sempre più al centro della riorganizzazione del lavoro, non si vede come il crescente coinvolgimento attivo dei lavoratori, ossia appunto la partecipazione, possa restare ancora a lungo oggetto di dibattito senza diventare una prassi maggiormente diffusa.
Che si vada in questa direzione lo dimostrano alcuni segnali. L’ultimo, in ordine di tempo e a livello interconfederale, è il Patto per la Fabbrica, (siglato il 9 marzo) che, nella lista delle priorità individuate dalle parti sociali, include, tra le altre, proprio il WA e la partecipazione che, rispettivamente (e forse anche significativamente), aprono e chiudono la to do list delle future Relazioni Industriali.
Degna di nota è anche la recentissima posizione assunta da Federmeccanica, successiva (ma collegata) al “rinnovamento” (e non già solo al rinnovo) del CCNL del settore metalmeccanico. Il riferimento è al documento programmatico intitolato “Impegno”, presentato nel mese di aprile di quest’anno: un decalogo che mira a sostenere quel cambio di paradigma culturale dal quale dovrà derivare l’affermazione di un nuovo umanesimo d’impresa (un “umanesimo metalmeccanico”) del quale WA e partecipazione saranno due dei pilastri sui quali, appunto, il settore – se non più in generale l’intero tessuto produttivo nazionale – si deve impegnare per dare solide basi all’intera costruzione.

 

I primi passi nella giusta direzione

 

Tra i segnali che indicano la via della partecipazione si deve anche ricordare la Circolare 5/E-2018 dell’Agenzia delle Entrate che sul tema della partecipazione non solo ha fornito chiarimenti sul corretto trattamento fiscale e previdenziale delle quote dei Premi di Risultato (PdR) erogati da imprese che abbiano fatto della partecipazione (organizzativa) una loro caratteristica, ma è giunta persino a fare degli esempi di come tale forma di partecipazione possa essere attivata nelle aziende e ciò nell’evidente intento, perseguito anche dal legislatore con le recenti leggi di stabilità, di diffondere tale prassi.
Tutto ciò s’inserisce appieno nel solco di quelle trasformazioni del lavoro che spingono a ripensare l’impresa partendo da una prospettiva più comunitaria e che inducono a sostenere le dinamiche della partecipazione posto che i protagonisti della vita aziendale sono sempre più attenti alla tutela di un bene da essi considerato come comune (ed invero comune a tutti, anche agli stakeholder esterni all’impresa) che coincide con l’impresa in quanto tale. Quest’ultima, per sostenere nel tempo questa visione e poterne beneficiare appieno, deve necessariamente aprirsi verso nuove forme e modalità di coinvolgimento a partire dal suo principale stakeholder: il  dipendente.

 

WA e partecipazione organizzativa: complementarietà e finalità comuni

 

Tra i tanti possibili ambiti che richiedono la partecipazione dei lavoratori c’è senz’altro quello creatosi con la riaffermazione delle prassi di WA. Occorre ovviamente intendersi sul concetto di partecipazione cui ci si riferisce: quella organizzativa (diretta ed indiretta) e quella economica presentano senz’altro delle complementarità con il WA che è un elemento rilevante della prima ed è diventato recentemente una modalità di affermazione della seconda, come avviene attraverso le pratiche di “welfarizzazione” del PdR.
Anche le finalità dei due istituti presentano alcune coincidenze posto che WA e partecipazione hanno, in definitiva, l’obiettivo comune di accrescere la produttività e dunque di coordinarsi con la complessiva business strategy dell’impresa.
Similari sono pure altri effetti che WA e partecipazione possono generare, incidendo positivamente sul clima aziendale, sulla reciprocità, sulla capacità dell’azienda di attivare maggiore attraction/retention dei collaboratori e nell’accrescere il loro livello di engagement.
Questa è la “via alta” al WA “partecipato” la cui alternativa è quella di un WA disegnato “a tavolino” dai manager o paternalisticamente definito direttamente dell’imprenditore che, però, proprio per l’assenza di un coinvolgimento della “base” sulle decisioni progettuali e gestionali, non può cogliere nel segno ed è destinato a non avere successo.

 

Generatività: il plus del WA e della partecipazione

 

Un altro terreno che accomuna WA e partecipazione è poi quello della “generatività”: il WA s’inserisce a pieno titolo in quel concetto di “welfare generativo” che soprattutto l’economia civile spesso richiama per il superamento del paradigma dell’attuale sistema di welfare state. Quello “generativo” si caratterizza per la scomparsa delle connotazioni meramente assistenzialistiche (che in ambito aziendale si direbbero paternalistiche), facendo spazio alla responsabilizzazione e all’empowerment delle persone che è anche la cifra della partecipazione organizzativa, specialmente di quella diretta, nella quale i lavoratori sono coinvolti in prima persona e anche a prescindere dal coinvolgimento dei loro rappresentanti. Questa partecipazione è dunque “generativa” nel senso che esalta pienamente la centralità della persona e quindi la capacitazione di ciascuno. Quando WA e partecipazione sono presenti congiuntamente nello schema organizzativo aziendale e nella cultura dell’impresa, la responsabilizzazione diventa reciproca e reciprocante perché riguarda non solo i lavoratori rispetto al loro lavoro ed ai risultati attesi, ma anche l’azienda rispetto al benessere ed alla considerazione complessiva della persona che quel lavoro e quei risultati ha contribuito e contribuirà a produrre in futuro.

 

Il territorio diventa terreno di crescita

 

Infine, un ambito che accomuna WA e partecipazione è rintracciabile anche all’esterno all’azienda: si pensi alla governance degli enti bilaterali, ai fondi per la formazione, a quelli pensionistici complementari e a quelli sanitari integrativi, senza dimenticare le potenzialità che può esprimere una “partecipazione territoriale” che proprio le policy di WA sono in grado di attivare grazie al coinvolgimento e alle esternalità delle quali possono beneficiare gli altri stakeholder dell’impresa (dai fornitori sino ai cittadini dei territori nei quali l’impresa è radicata).
In quest’ultimo senso e in una visione evoluta e maggiormente efficace, la partecipazione e il WA devono saper uscire dal perimetro aziendale e porsi in sinergia con l’economia territoriale perché creare valore solo all’interno della singola azienda, senza cooperare alla crescita di tutti i soggetti che con essa si relazionano, priva l’impresa stessa di un risultato essenziale che è quello di generare valore aggiunto nel tessuto economico e sociale nel quale si trova inserita.
A tale proposito, il WA ha notoriamente la capacità di generare esternalità positive per il territorio attraverso il sostegno alla domanda di servizi che non possono che essere locali, ossia erogati dove le persone e le famiglie vivono e lavorano (il WA non si delocalizza) e può giungere, nei casi più evoluti, sino ad offrire esso stesso servizi dei quali l’intera comunità può beneficiare (classico il caso dell’asilo aziendale aperto anche ai figli di persone non impiegate nell’impresa che lo allestisce). In tal modo il WA esprime appieno la sua capacità d’integrazione rispetto all’offerta di welfare pubblico disponibile.

 

PdR: i limiti della partecipazione economica welfarizzabile.

 

Ci sono alcune importanti differenze tra il “vero” WA e la “welfarizzazione” dei PdR la cui attivazione, pur rimessa ad una previa contrattazione, generalmente non presuppone un reale “ascolto” ed una partecipazione diretta dei lavoratori all’identificazione dei bisogni cui fornire risposte.
Il PdR si “welfarizza”, pur se a fronte di una libera scelta del dipendente, tramite un automatismo che si sostanzia unicamente in una diversa modalità di corresponsione della componente variabile della retribuzione. Ecco un limite della partecipazione, in tal caso economica, che può essere visto con la lente del WA: essa è capace di accrescere la motivazione estrinseca verso il buon andamento aziendale collegato ad un incremento retributivo ed è quindi capace di spronare verso una maggiore produttività (pur con i limiti che derivano dalla natura stessa dell’incentivo), ma difficilmente riesce a generare valore nel vissuto delle persone che, invece, si produce quando ad attivarsi sono le motivazioni intrinseche e specialmente quando queste siano allineate con i valori espressi dalla cultura aziendale, come avviene nelle realtà dove il WA è pratica solida, presente da tempo e strettamente connessa all’intento di fornire delle tutele (che sono strutturalmente e concettualmente cose ben diverse dall’erogazione dei  premi).
E’ di tutta evidenza il fatto che la “welfarizzazione” del PdR è sempre aleatoria (perché l’accesso ai servizi di WA è associato al conseguimento dei target aziendali che sono per definizione incerti) e potenzialmente non stabile (mentre i bisogni lo sono, pur nella loro mutevolezza nel tempo). Quello che deriva da questo canale di attivazione è allora un WA “debole”, nel quale l’investimento aziendale non è presente (il finanziamento degli interventi è fatto con la parte variabile della retribuzione del dipendente che, di fatto, “si paga” il suo welfare) e dove l’opzione exit per l’azienda può diventare molto semplice (“no target, no welfare”).
Non è allora propriamente un caso che il tasso di conversione dei PdR in servizi di WA si sia attestato, sinora, su percentuali piuttosto basse e mediamente comprese tra il 20% e il 30%, mentre la fruizione dei servizi di “vero” WA (ossia quello on top sulle retribuzioni) riguardi mediamente un 80% dei beneficiari.
Tuttavia l’innovazione normativa che ha condotto alla possibilità di convertire i PdR in servizi di WA ha avuto il merito di aver fatto da detonatore di un fenomeno ormai considerabile come strutturale nel quadro dei cambiamenti che il rapporto di lavoro sta vivendo, ossia l’inserimento del WA nel sinallagma lavoro-retribuzione. Inoltre, la pratica della “welfarizzazione” del PdR sta contribuendo alla diffusione della “leva” del WA sia nelle strategie delle imprese, sia nel bagaglio culturale del sindacato e sta entrando nelle abitudini dei lavoratori (sia pure con alcune difficoltà in relazione alle fasce più deboli). Può quindi costituire una base di partenza, per le aziende che si siano avvicinate a questo tema attraverso la “via bassa” della conversione, per future evoluzioni del WA in senso più stabile, strutturato e soprattutto partecipato.

 

Contributo originariamente pubblicato il 29 marzo 2018 sulla newsletter “Mitbestimmung.it”.

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giovanni.scansani@tuttowelfare.info