La pausa pranzo in mostra
Dalmine. Mensa aziendale, esterno. 1940. Foto di Umberto Da Re

La pausa pranzo in mostra

Alla Tubi Mannesmann un’ esposizione sulle origini del welfare aziendale curata dalla Fondazione Dalmine. Un interessante percorso corredato da foto d’epoca e filmati, che racconta l’evoluzione del lavoro e delle pause pranzo nelle fabbriche italiane: da frugali momenti necessari per nutrirsi a fondamentali momenti per la socializzazione tra dipendenti.

 

Un piatto di pasta, una forchetta e una chiave inglese. O, se preferite, una schiscéta (così i lombardi chiamavano il contenitore per il cibo da portarsi sul posto di lavoro), un pezzo di pane e le mani sporche d’olio. Quello lubrificante, schizzato fuori dalla macchina alla quale l’operaio aveva lavorato fino a un istante prima di poter concedersi una breve pausa per il pranzo. Era così la “ristorazione” in fabbrica nei primi anni del secolo scorso. E per mangiare, inizialmente, non si stava neppure comodamente seduti a tavola: il pasto era consumato sul posto, a fianco dell’impianto o “accomodandosi” dove capitava, anche per terra, magari fuori dal reparto se il tempo era buono. La pausa, poi, era brevissima perché il ritmo produttivo non doveva subire interruzioni troppo lunghe. Fordismo puro. Anche all’ora di pranzo.
Oggi chi lavora nelle medie e grandi aziende dispone di un “ristorante aziendale” (guai a chiamarlo mensa), nel quale la varietà e la qualità dei pasti è assicurata dall’intervento professionale di società specializzate e la cui distribuzione è effettuata in ambienti sempre più funzionali e di design, con formule che vanno dal self-service al free-flow fino alle linee griffate da qualche brand della ristorazione commerciale. Per arrivare a questo, però, sono occorsi molti anni, tante battaglie sindacali e soprattutto lo stratificarsi di prassi innovative che, durante la prima metà del ‘900, alcune grandi aziende hanno saputo realizzare divenendo l’avanguardia di quell’insieme d’interventi oggi comunemente definito come Welfare Aziendale.

 

 

Dalmine. Mensa aziendale. Operai a tavola. 1937. Foto di Bruno Stefani per Studio Boggeri

Il piatto in mostra

 

Di tutto ciò dà conto la mostra intitolata: Pausa Pranzo. Cibo, industria, lavoro nel ‘900, in calendario sino al 21 dicembre presso la Fondazione Dalmine e da questa organizzata con la Fondazione ISEC, il contributo della Fondazione Cariplo e la collaborazione dell’Istituto Luce. Un evento che dimostra come business history, storia economica e storia sociale possano esprimersi all’unisono in un’unica occasione.
L’esposizione è un’ideale seconda puntata di quella organizzata dalla Fondazione ISEC (Istituto per la Storia dell’Età Contemporanea) a Sesto San Giovanni nel 2015 in occasione di Expo ed è quindi uno sviluppo dell’idea a suo tempo concepita dallo storico Giorgio Bigatti (direttore di ISEC).
Il percorso della mostra è incentrato sulle origini e poi sulle trasformazioni delle modalità di consumo dei pasti nelle industrie italiane fino agli Anni ’60 del secolo scorso. Il corredo fotografico riguarda, oltre la Dalmine, anche Pirelli, Fiat, Falk, Breda ed altre grandi imprese nazionali e si deve all’opera di alcuni importanti fotografi come Uliano Lucas, Vincenzo Aragozzini, Ugo Mulas e Bruno Stefani.

 

Dal paternalismo industriale ai giorni nostri

 

Dopo quelli del paternalismo industriale (che vide protagonisti imprenditori come Crespi,  Marzotto e Rossi, solo per citarne alcuni,  caratterizzati da un’impostazione filantropica e localistica, incentrata sulle figure di alcuni capitani d’industria illuminati, arriveranno gli anni dell’intervento statale, espressione tipica del Fascismo, che con le “provvidenze del Regime” e la costruzione delle Città di fondazione (tra le quali la stessa Dalmine), assocerà al suo progetto antropologico e sociale anche le grandi aziende affinché queste potessero impegnarsi verso le proprie maestranze nella realizzazione di pratiche che oggi definiremmo come “socialmente responsabili”.
Tutto ciò in stretta sinergia con istituzioni come l’O.N.D. (da cui deriveranno i CRAL aziendali), l’O.N.B. e l’O.M.N.I. (quest’ultima, rivolta alla maternità e all’infanzia, rimasta in attività sino al 1975) nel più generale processo di reingegnerizzazione collettiva che, in quel periodo storico, si riassume nel passaggio dal binomio “impresa-città” al trinomio “impresa-città-Stato”.

 

A Dalmine le prime mense aziendali

 

In questo quadro la Dalmine, sin dai primi anni del ‘900, si era già distinta per una serie di interventi di welfare e quanto ai bisogni alimentari dei suoi dipendenti aveva da tempo allestito degli appositi refettori dove gli operai potevano consumare i pasti (ancorché ancora con la formula del takeaway da casa propria, dov’erano stati previamente preparati).
Nel 1934 l’azienda apre una delle prime moderne mense della storia industriale italiana (capace di preparare oltre 1.000 pasti per turno) sulla base del progetto affidato ad un grande Archistar dell’epoca: il milanese Giovanni Greppi (a lui si dovranno anche altre importanti realizzazioni, soprattutto nel capoluogo lombardo, come il palazzo uffici della Innocenti a Lambrate, il palazzo della Banca Popolare di Milano e quello della Cariplo).
La realizzazione della mensa era il punto d’arrivo di un più ampio rapporto esistente tra l’impresa, il territorio e la popolazione locale del quale Greppi fu il protagonista grazie alle sue costruzioni ed alla continuità della collaborazione con la grande fabbrica siderurgica.
Produzione industriale, produzione agricola, trasformazione alimentare, distribuzione e consumo del cibo corrisponderanno a Dalmine (e grazie alla Dalmine) ad apposite strutture che, integrate con quelle industriali e con quelle destinate alle funzioni sociali, ricreative, sportive ed abitative (furono costruiti interi quartieri di case per operai e impiegati), comporranno il mosaico di una delle più attrezzate company town italiane. Dalmine diventa un vero e proprio villaggio modello che sarà minuziosamente descritto in un celebre documentario Luce del 1941 (“Andando verso il popolo”), curato da Michele Gandin e che la Mostra proietta a ciclo continuo in un’apposita sala.
Dalmine (e la Dalmine) sono state un laboratorio sociale e industriale parte del quale è ancora oggi visibile girando per la città e lungo il perimetro del grande stabilimento. Ed è proprio qui, a pochi metri dalla fabbrica che si tiene la mostra e che ha sede la Fondazione Dalmine, nata nel 1999 per iniziativa di TenarisDalmine con l’obiettivo di promuovere la cultura industriale valorizzandone la storia. A partire, ovviamente, da quella dell’azienda che dal 1906, anno della sua fondazione, non ha mai smesso di rappresentare il fulcro della vita lavorativa e sociale della città industriale che a questa fabbrica deve la sua stessa nascita.

 

Un tuffo nel passato per progettare meglio il futuro

 

Le immagini e i filmati dell’epoca consentono di rivivere le atmosfere che caratterizzavano la pausa pranzo nelle grandi fabbriche e di comprendere come il momento del pasto non fosse estraneo, nella sua organizzazione, al quadro complessivo della strutturazione della giornata lavorativa, svolgendo pienamente la sua funzione di ri-creazione nel duplice significato di momento non solo di stacco dal ritmo del lavoro, ma anche di scientifica fase nella quale rigenerare le energie dei lavoratori in vista della successiva ripresa delle attività (interessantissime sono le pagine di una relazione che proprio la Dalmine, dopo la costruzione della mensa aziendale, aveva predisposto per analizzare l’apporto calorico e la struttura organolettica delle derrate utilizzate nella predisposizione dei pasti: un’attenzione non solo motivata dall’intento di monitorare la qualità dei pasti, ma anche dalla consapevolezza che una sana alimentazione avrebbe avuto positivi impatti sulla produttività dei singoli).
Come sia cambiato nel tempo questo momento della giornata lavorativa l’iniziativa della Fondazione Dalmine lo illustra con dovizia di particolari. Si comprende, così, come si sia passati da una prima fase in cui era l’operaio a portare sul luogo di lavoro la sua schiscéta, a quella in cui le imprese mettono a disposizione i locali dove poter almeno riscaldare ciò che si era portato con sé, fino alla conquista di vere e proprie mense nelle quali è il datore di lavoro a mettere disposizione, oltre agli spazi, anche il servizio di ristorazione (inizialmente solo un piatto di pasta o una minestra e poi, ma ci vorranno anni, un pasto completo).

 

Sesto San Giovanni. Breda. Mensa operai. Anni Venti. Fondazione ISEC

La trasformazione del lavoro ha cambiato il concetto di pausa pranzo

 

Miglioramenti che vanno di pari passo con l’evoluzione, faticosa, delle condizioni complessive del lavoro, il che trasforma questa mostra in un appuntamento che consente di ripercorrere idealmente un excursus ben più ricco di significati. Con le trasformazioni delle modalità di fruizione del pasto meridiano sullo sfondo, osservando le fotografie, si notano anche le trasformazioni del lavoro di fabbrica, incluse quelle riconducibili alla politica, ossia all’ agibilità sindacale che proprio (ed anche) negli ampi locali delle mense delle grandi aziende troverà non solo la fisica realizzazione di una conquista, ma anche l’infrastruttura più idonea per tenere oceaniche assemblee ed incontrare, in un solo luogo, i lavoratori altrimenti separati nei diversi reparti.
Ma il significato “politico” della ristorazione sul luogo di lavoro stava (e sta) anche nella sua capacità di costruire e dare senso alla comunità aziendale. Il refettorio, prima, e la mensa, poi, diventeranno il fulcro delle relazioni sociali in fabbrica, espressione di un momento di armonia collettiva che la fotografia aveva il pregio di rappresentare e di promuovere. Una capacità che non sfuggiva ai responsabili della comunicazione d’impresa di quei tempi perché le immagini che si possono ammirare visitando la mostra sono state spesso commissionate dalle aziende non solo per corredare pubblicazioni interne destinate alle maestranze, ma anche per illustrare volumi incaricati di celebrare le realizzazioni sociali delle imprese. Oltre alle mense, infatti, bisogna ricordare le prime forme di previdenza collettiva, l’assistenza sanitaria e le colonie, ossia le “opere sociali” poste in essere dalle aziende (una definizione giunta sino a noi e ancora oggi presente in quella norma del TUIR che defiscalizza alcuni servizi di Welfare Aziendale proprio in quanto considerati “oneri di utilità sociale” sostenuti dal datore di lavoro).
L’organizzazione della ristorazione dei lavoratori e la sua evoluzione consente di ricostruire la stessa evoluzione del welfare aziendale nel passaggio tra i diversi registri che ne hanno scandito la maturazione: dopo la fase pionieristica del paternalismo aziendale dei primi del ‘900, quella del periodo fascista, nel corso del quale si gettano le fondamenta del Welfare Aziendale contemporaneo, fino a quella del secondo dopoguerra e poi del boom economico.

 

Il primo passo di un percorso storico

 

L’esposizione fa idealmente da sfondo ad una serie di workshop in calendario dal prossimo ottobre presso diverse istituzioni del capoluogo orobico che narreranno di Bergamo e del suo territorio nel periodo 1919-1939 analizzandone gli aspetti sociali, politici e industriali senza dimenticare un focus sui temi del welfare aziendale e di come questo, sin dalle sue origini, sia stato capace di espandere i suoi effetti a livello sociale sostenendo le famiglie dei lavoratori e la stessa comunità locale con la quale le imprese, Dalmine in primis, hanno saputo costruire relazioni e reciprocità che ancora oggi ci appaiono eccezionali e che pensando alle attuali carenze dei servizi di welfare di origine pubblica, finiscono per apparirci, nella loro persistente attualità, del tutto necessarie. Ci auguriamo che la mostra possa essere visitata da molti responsabili delle funzioni HR perché la tradizione italiana del welfare d’impresa e la sua storia sono ancora in grado di fornire idee e suggestioni che possono utilmente ispirare le policy di people management contemporanee.

 

Info Mostra

Fondazione Dalmine
Via Vittorio Veneto, Dalmine (BG)
Fino al 21 dicembre 2018.
Visite guidate (su prenotazione) inviando email a segreteria@fondazionedalmine.org o telefonando al numero 035/56.03.418.

 

 

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giovanni.scansani@tuttowelfare.info