Il fattore DM irrompe sulle pensioni

Il fattore DM irrompe sulle pensioni

Superamento della Legge Fornero con l’avvio della quota 100, stop all’Ape sociale e sì all’opzione donna. Jobs Act da rivedere. Le urgenze da affrontare sul tavolo di Luigi Di Maio.

 

Superamento della Legge Fornero, Centri per l’impiego e Jobs act sono le tre priorità sul tavolo del neo ministro per il Lavoro Luigi Di Maio. Il fronte più caldo è quello delle pensioni e l’apertura della strada a quota 100, anche se per ora, il leader del M5S non si è sbilanciato sulla tempistica dell’intervento anche se, stando ai bene informati non potrà partire prima dell’ autunno insieme alla misura che dovrà garantire una possibilità di uscita con 41 anni (e forse sei mesi) di contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica. Anche perché l’operazione avrà costi tutt’altro che trascurabili: non meno di 5 miliardi l’anno secondo le stime di Movimento Cinque stelle e Lega, almeno 14-15 miliardi l’anno per l’Inps. Ma  il tema previdenza   potrebbe rientrare nel decreto estivo al quale, in base a voci di corridoio, starebbe pensando il governo Conte, con lo stop all’Ape sociale e il ripristino di “opzione donna”.

 

Stop all’Ape sociale, sì all’opzione donna

 

La cancellazione dell’Ape sociale, varata dal “gabinetto” Renzi, dovrebbe infatti scattare il 1° gennaio 2019   e consentirebbe al nuovo governo di recuperare oltre 600 milioni di euro da utilizzare come  copertura degli altri interventi da varare per modificare la Legge Fornero. Tra questi c’è l’opzione donna, ovvero la possibilità per le lavoratrici di uscire dal mondo del lavoro con 57-58 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi (ma  potrebbero arrivare a 36 o 37) con un assegno, però, interamente con il metodo contributivo.

 

 

Quota 100 e il rischi della non sostenibilità

 

Più complessa la partita su quota 100, ovvero la possibilità di andare in pensione una volta che la somma tra età minima e anzianità contributiva risulta pari a 100. Manovra che per essere realizzata servono tempi più lunghi e coperture più sostanziose. Oltre a un’ attenta valutazione dei rischi di mancata sostenibilità.
Nell’ultimo Def “tendenziale” targato Gentiloni-Padoan si era evidenziato, infatti, che senza le ultime riforme pensionistiche, legge Fornero compresa, il debito pubblico avrebbe raggiunto un livello pari al 150% del Pil nel breve periodo, per poi schizzare al 200%  tra il 2030 e il 2040, anni in cui andranno in pensione i baby boomers. Stime che al nuovo governo, per il momento, non interessano più di tanto. «Allo stato attuale, una stima del costo mi sembra ancora velleitaria se non si chiarisce il meccanismo, anche perché l’abitudine di denunciarne l’impatto cumulandone il costo per un lungo periodo di tempo non aiuta a far chiarezza», ha detto  Giovanni Tria, il neo ministro per l’Economia, a metà maggio parlando proprio  delle risorse necessarie a correggere la Legge Fornero. A lui ha fatto eco Alberto Brambilla, esperto di previdenza e sottosegretario al welfare nei governi Berlusconi tra 2001 e 2005, e, secondo i bene informati, l’uomo che potrebbe  essere chiamato a rivoluzionare le nostre pensioni. «L’allarme sui conti è infondato», ha detto l’esperto. «La spesa per pensioni, depurata dall’assistenza, pesa solo l’11% sul Pil, in linea con gli altri paesi europei e sotto il 18,5% comunicato da Istat a Eurostat».

 

La riforma favorisce i giovani

 

In attesa che i dubbi sulle coperture si dissolvano, l’unica cosa certa  è che la riforma sulle pensioni a cui sta pensando il governo giallo-verde, porterebbe per gli uomini, un anticipo dell’età pensionabile compreso tra 1,4 e 6 anni, per chi inizia a lavorare presto, e per le donne, un anticipo tra 1,4 e 4,8 anni. Invece per i lavoratori più giovani ovvero per quelli che sono entrati sul mercato del lavoro dopo il 1996 (del contributivo), cambierebbe poco o nulla, con alcuni mesi in più per chi ha cominciato a lavorare più tardi. Una riforma che, secondo gli esperti,  in generale favorirebbe i più giovani e chi ha iniziato a lavorare presto, in quanto verrebbe meno l’adeguamento alla crescita della speranza di vita del requisito di pensione anticipata. Ma Brambilla in un’intervista rilasciata a laRepubblica  avverte: «Guai a pensare che con quota 100 risolviamo ogni problema. Bisogna puntare anche sui fondi esuberi o di solidarietà che esistono già per ogni categoria professionale. E replicare il modello del settore bancario che grazie al suo fondo – alimentato dallo 0,30% pagato su ogni retribuzione lorda – dal 2000 ha mandato in pensione 60 mila dipendenti senza gravare sullo Stato. Non deve più esistere un caso Tim, in cui l’azienda per alleggerire il suo debito mette in cassa integrazione a rotazione 15 mila dipendenti gravando sulle spalle della collettività». E poi ha aggiunto: «Grazie ai fondi di categoria, tutti coloro che hanno problemi seri di salute o di famiglia e che vogliono andare in pensione prima potrebbero usare quello scivolo».

 

 

Jobs act da rivedere

 

Sul fronte dei lavoratori, invece, o degli aspiranti tali, per Di Maio il Jobs act va rivisto. «C’è troppa precarietà, va ridotta per ridare forza all’ economia, e uno dei responsabili è proprio il Jobs act». E promette un tavolo per migliorare i centri per l’impiego, che «hanno bisogno di più personale, risorse e una filosofia diversa».
A scendere più nel dettaglio è Brambilla che sempre nell’intervista rilasciata a laRepubblica spiega che la riforma del lavoro del Governo Renzi «Ha cose buone, ma va destrutturata. Bisogna ridurre la precarietà cancellando il decreto Poletti. Il contratto a tempo non può durare più di 24 mesi e 3 proroghe. E se le aziende vogliono chiuderlo devono dirlo 60 giorni prima. Non toccherei l’articolo 18. Ma ripristinerei i voucher da 10 euro, limitati ai settori originari: agricoltura, babysitting, giardinaggio, pulizie. Fisserei il salario minimo orario a 9 euro. E abolirei gli sgravi sulle assunzioni dei giovani che non funzionano. Sostituiti da un super-ammortamento: se il costo del lavoro è 100, il primo anno l’imprenditore ammortizza 130, poi 125, 120 e così via. Nel giro di sei anni quel costo è ripagato».

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