Smart working e welfare per rilanciare la Pubblica amministrazione

Smart working e welfare per rilanciare la Pubblica amministrazione

Riccardo Zanon, con uno sguardo al futuro e al recente Patto per l’innovazione del lavoro pubblico, analizza luci e ombre dello Smart working nella Pubblica amministrazione 

 

Dopo settimane di inchiostro versato sul futuro e sul destino dello Smart working o, seguendo le nuove direttive della lingua italiana, del “lavoro agile” nel nostro Paese, non è ancora chiaro se questo strumento organizzativo avrà o no un futuro nelle aziende. Credo che ne avrà, ma nella sua essenza originale, ovvero nella modalità in cui le aziende e i lavoratori possano conciliare le esigenze della produzione con quelle familiari. Questo significa che lavoratori non dovranno esclusivamente restare rinchiusi in casa, ma potranno utilizzare modalità ‘miste’ di lavoro che si intersecano come la trama di un tessuto tra il tempo presso azienda e il proprio domicilio, oppure ogni altro luogo che contrattualmente fosse messo a disposizione dei lavoratori.

 

Il lavoro agile è infatti una parte di quell’insieme di strumenti che rientrano nel ben più ampio welfare aziendale e che, in questo caso, riguarda l’organizzazione dell’azienda. “Organizzazione” è un termine che anche per il Governo rappresenta un obiettivo prioritario in particolare per la Pubblica amministrazione (Pa). Il Presidente del Consiglio Mario Draghi si è posto l’intento di migliorare proprio l’organizzazione della macchina della Pa, perché l’attuale burocrazia in Italia è un peso che non è più sostenibile.

 

Un esempio? Sono troppi i punti di Pil sfumati a causa di inefficienze e ritardi anche nella realizzazione di grandi opere, con stime che parlano di perdite per circa 70 miliardi di euro: a rivelarlo è l’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sulla qualità della burocrazia e il suo impatto sulla crescita economica del Paese, secondo cui nel confronto internazionale, su 36 Paesi Ocse, l’Italia occupa la 33esima posizione.

 

D’altronde, tra gli elementi positivi che attraggono le aziende – anche le nostre – a investire in Paesi vicini a noi come l’Austria e la Svizzera, c’è una Pa più snella e al servizio delle necessità dei cittadini e delle imprese: un’analisi di Italia Oggi dell’autunno 2020, svela, infatti, la relazione diretta tra la produttività stagnante e l’inefficienza della Pa.

 

Lo Smart working a luci e ombre durante l’emergenza

 

La riorganizzazione della Pa deve necessariamente passare anche attraverso una gestione delle Risorse Umane più adeguata alle nuove necessità. E qui si colloca il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato dal Governo Draghi e i sindacati Cgil, Cisl e Uil. Il patto fa parte del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ovvero il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del progetto Next Generation EU. Semplificazione dei processi e investimento nel capitale umano attraverso la selezione delle competenze e la formazione sono le direttrici ritenute fondamentali per attenuare le storiche disparità del Paese, per ridurre il dualismo fra settore pubblico e privato, nonché per fornire risposte ai nuovi e mutati bisogni dei cittadini.

 

Nel patto c’è un passaggio che dà fiducia al fatto che non ci troviamo di fronte ai soliti proclami: “Non servono tanto nuove leggi, quanto la capacità di adattarsi a scenari estremamente mutevoli con flessibilità”. Questo ‘messaggio’ può davvero essere assunto a segnale che qualcosa sta cambiando, dato che fino adesso nell’ambito dell’organizzazione si è parlato di lavoro agile solo con l’idea di superare l’attuale gestione emergenziale.

 

In particolare, c’è l’accordo di individuare nei vari contratti collettivi in corso di rinnovo una disciplina che favorisca la produttività e i risultati: per questo vi è la necessità di conciliare le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze della Pa. Sembra però che l’esperimento di Smart working dettato dall’emergenza sanitaria iniziata nel 2020 non abbia portato i risultati sperati, proprio perché carente di aspetti importanti come la valutazione dell’attività delle amministrazioni, che non sembrano essere riuscite a tenere un livello accettabile di produttività, ovvero di servizi offerti ai cittadini.

 

Così recita un’altra frase a pagina due del patto: “È urgente lo smaltimento dell’arretrato accumulato durante la pandemia. Agli uffici verrà richiesto di predisporre un piano di smaltimento dell’arretrato e di comunicarlo ai cittadini”. Se così fosse sarebbe un elemento di cambiamento vero nella Pa, e potenzialmente anche di stimolo per il settore privato. Senza controllo, infatti, vengono meno valori come produttività ed efficienza, importantissimi in un’azienda che vuole solcare le acque dei mercati attuali e futuri. E che vuole anche risultare attraente per nuove leve, offrendo un’organizzazione seria e attenta alle necessità dei propri dipendenti.

 

Che sia anche questa la volontà non scritta del Governo? Cioè rendere nuovamente attrattiva ‘un’azienda’, la Pubblica amministrazione, a nuove e valide competenze, pronte alla trasformazione digitale?

 

 

Riccardo Zanon è avvocato e titolare dello Studio Zanon, specializzato in consulenza del lavoro. Offre risposte e consigli in merito a Diritto del Lavoro, Risorse Umane e Welfare Aziendale. Il suo ultimo libro si intitola: Welfare Terapia – Rilanciare le aziende e prendersi cura dei collaboratori nell’era Covid-19 (Tuttowelfare, 2020).

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