Perché il talento femminile va valorizzato

Perché il talento femminile va valorizzato

I programmi di welfare aziendale stanno già migliorando la vita delle donne in ufficio. Ma vanno pensati anche percorsi di formazione per  accompagnare le lavoratrici in azienda nelle varie fasi della loro età.

 

49,2%. È questo il tasso di occupazione femminile oggi in Italia. Numero che segna un record storico, ma che non ci avvicina alla media europea del 60%, target fissato per il 2020.  «Soprattutto se si va ad analizzare quali sono le motivazioni che hanno spinto il lavoro femminile in Italia negli ultimi tre anni», osserva Francesca Devescovi, Responsabile Formazione, sviluppo welfare di Valore D, la prima associazione di grandi imprese formata in Italia al fine di sostenere l’equilibrio di genere nel mondo aziendale. Due sono infatti le motivazioni che hanno pesato maggiormente sulla crescita dei posti di lavoro rosa: la Legge Fornero, che ha allungato la vita lavorativa delle persone e la crisi che tagliato posti di lavoro maschili costringendo molte donne a trovarsi un’occupazione per poter garantire almeno una entrata al bilancio domestico. Motivazioni quindi non positive», sottolinea Devescovi.

 

Cosa frena ancora il lavoro femminile in Italia?
Senza dubbio l’orientamento agli studi delle ragazze. Oggi solo il 30% dei giovani sceglie percorsi scolastici e universitari in base alle reali opportunità di lavoro. In particolare, mentre i ragazzi scelgono materie scientifiche, le ragazze troppo spesso optano per materie umanistiche che impattano poco sul mondo del lavoro.  Questa scelta è determinata soprattutto da stereotipi e pregiudizi. Questo ha spinto la nostra associazione a lanciare Inspiring Girls, un progetto internazionale dedicato ai ragazzi e ragazze delle scuole medie italiane che si propone di testimoniare che non ci sono professioni “per donne” e “per uomini” quando c’è consapevolezza di quello che si vuole veramente fare e determinazione nel perseguirlo. Il progetto vuole infatti “dare un volto ai sogni” e trasmettere ai ragazzi il messaggio di ampliare i propri orizzonti nell’immaginare il futuro, liberandoli da stereotipi e vincoli esterni.

 

Tutto qui?
C’è poi l’annoso tema della maternità. In base ai dati Istat l’occupazione di donne con due figli è del 37%. Ma il dato che preoccupa maggiormente è che dopo la nascita del primo figlio il 27% delle donne decide di lasciare il lavoro e dopo il secondo la percentuale sale al 55%.

 

Cosa le spinge ad abbandonare?
Due sono le motivazioni più forti. La prima è la mancanza di fiducia nell’essere valorizzate in maniera adeguata visto che le prospettive di carriera sono ancora limitate per donne con figli. Ciò significa che nelle aziende sono ancora vivi i pregiudizi per cui una mamma non può essere contemporaneamente anche una lavoratrice di successo.

 

E la seconda?
L’impossibilità di raggiungere un buon work life bilance. Ancora oggi, infatti, le cure dei figli piuttosto che dei genitori anziani ricadono sulle donne. E quando decidono di non farlo si fanno soccombere dai sensi di colpa. Insomma, in Italia non esiste ancora un buon equilibrio tra i ruoli parentali. Anche se qualcosa sta cambiando.

 

In che senso?
I giovani Millennials, per esempio, sono più disposti a condividere e supportare le loro compagne nella gestione degli impegni famigliari, quindi stiamo andando nella giusta direzione per raggiungere quell’equilibrio di ruoli di cui parlavo prima.

 

Su questa strada i servizi di welfare aziendale possono aiutare?
Sicuramente. Oggi il 65% delle aziende, per esempio, ha introdotto lo smart working, con una media di due giorni a settimana. E questo è indubbiamente uno strumento che migliora l’equilibrio tra vita professionale e privata anche perché lo usano sia uomini che donne in misura uguale, specie nella fascia 30/40 anni.  Delle 180 aziende associate a Valore D, inoltre, l’89% ha già attivato un piano welfare con notevoli vantaggi sia di performance sia di engagement dei lavoratori.

 

Cosa resta da fare, dunque, per dare la spinta decisiva all’impiegabilità femminile?
Innanzitutto creare le condizioni affinché il welfare aziendale si diffonda anche tra le Pmi e liberi professionisti e non solo tra le grandi imprese. Le istituzioni dovrebbero quindi pensare ad agevolazioni e strumenti più semplici per lanciare il welfare anche in questi ambiti. Poi ci vorrebbe un cambio culturale.

 

Può spiegare meglio?
Oggi la maggior parte dei servizi welfare sono legati all’erogazione di buoni sconto e servizi di vario genere. Pochi sono i piani che prevedono percorsi di formazione per i dipendenti o un iter in grado di accompagnare le donne nelle loro diverse fasi della loro vita all’interno dell’azienda.  Ma occorre considerare che nei prossimi anni il numero di lavoratrici senior è destinato a crescere e per loro vanno pensati servizi di welfare ad hoc. Dalla nostra ricerca Talenti senza età, infatti, è emerso che un terzo delle donne over 50 oggi occupate, si sentono demotivate perché non vengono valorizzate in modo adeguato all’interno dell’azienda. Trend che, se non viene invertito, potrebbe impattare negativamente sulle performance e quindi sulla competitività delle imprese.

 

Come ovviare a questo problema?
Ci vorrebbero più servizi per lavorare su talento delle donne in questa fase delicata della loro vita. Un piano welfare che accompagni le donne con servizi adeguati in base alla loro fascia di età.

 

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