Tuttowelfare, il welfare dalla A alla W

Tuttowelfare, il welfare dalla A alla W

In occasione dell’evento ‘Tuttowelfare, il welfare aziendale dalla A alla W’, che ha aggregato la comunità di manager, professionisti e fornitori di welfare aziendale. Si sono affrontati i temi fondamentali del settore e le questioni ancora aperte.

 

 

L’era del welfare sostenibile è iniziata. La parola welfare non è certo nuova, esiste – anche in Italia – da decenni. La prima normativa fiscale in materia risale al 1986. Eppure, è solo negli ultimi anni che il welfare è ‘esploso’, proprio grazie alle leggi di Stabilità (dal 2015 in poi) che l’hanno rivoluzionato e rilanciato con importanti sgravi fiscali.

 

Oggi sono sempre più le aziende e gli imprenditori che ne vedono le potenzialità come strumento di benessere non solo nel luogo di lavoro, ma anche nella sfera privata, nella comunità, nel territorio circostante e nella società nel suo complesso.

 

In questi anni, il welfare si è evoluto e ha subito diverse trasformazioni. Siamo passati da un welfare ‘paternalista’ di stampo olivettiano, calato dall’alto, e prerogativa di poche aziende capitanate da imprenditori illuminati a un modello di welfare partecipativo scelto con e dai dipendenti, non concepito come una piattaforma di scambio e i cui effetti benefici non restano confinati dentro ai confini dell’impresa.

 

Si è fatta tanta strada, ma ancora più lungo è il tragitto che resta da compiere. Innanzitutto, il panorama del welfare oggi è molto disomogeneo: da Nord a Sud, ma anche tra le aziende di uno stesso territorio, siamo di fronte a un’adozione a macchia di leopardo.

 

Dove è presente, ha di certo assunto valori differenti. Si passa da modelli di welfare retributivo a modelli di welfare sociale; ci sono poi i piani implementati solo come leva fiscale o retribuzione alternativa per i dipendenti fino a progetti che mettono davvero al centro le persone.

 

In quest’ultimo caso il welfare si caratterizza per essere non solo uno strumento per il benessere dei lavoratori, ma anche per rendere l’azienda più attrattiva nel mercato del lavoro, per trattenere i talenti, per cambiare la cultura aziendale, per valorizzare i dipendenti e per costruire insieme con loro un insieme di valori che caratterizzino sia l’ambiente di lavoro sia il modo con cui l’impresa si presenta all’esterno.

 

Di questo e di molto altro si è parlato a Tuttowelfare – Il welfare dalla A alla W, il primo evento di Tuttowelfare.info. Numerosi gli ospiti e i relatori presenti nella sede di Assolombarda Confindustria Milano, Monza, Brianza e Lodi che non si sono limitati solo a dipingere il quadro dello stato del welfare in Italia, ma hanno anche ragionato sui suoi limiti e sulle sue potenzialità e hanno offerto interessanti spunti di riflessione sulle sue possibili evoluzioni future.

 

Il welfare non è solo conversione del Pdr

 

Da quando, con la legge di Stabilità del 2015, è stata data la possibilità di convertire i premi di risultato in beni e servizi detassati, si è cambiata anche la natura del welfare. “Oggi le aziende sono ancora troppo concentrate sulla leva fiscale del welfare, mentre trascurano altri aspetti importanti”, ha spiegato Diego Paciello, Dottore Commercialista e esperto di welfare aziendale.

 

Ma così facendo, ha puntualizzato, si perde la natura sociale del welfare e si condiziona l’accesso ai beni e ai servizi al raggiungimento degli obiettivi aziendali: se non si ottiene il Premio di risultato (Pdr), non si ha nemmeno il welfare. Legare il concetto di welfare solo alla conversione dei premi di risultato, inoltre, è limitante: il benessere delle persone non è fatto, infatti, solo di soldi e di beni e servizi da acquistare.

 

Uno degli aspetti ritenuti sempre più importanti dai dipendenti è il tempo e cresce il numero di coloro che come ‘benefit’ chiede una migliore conciliazione vita-lavoro e la possibilità di lavorare in modo smart. Lo Smart working, però, come ha detto Mariagrazia Bonzagni, Capo Area Personale e Organizzazione e Programmazione, Controlli e Statistica del Comune di Bologna, “non è solo una diversa modalità di organizzazione del lavoro, ma uno strumento utile per tutta la comunità”.

 

Di strumenti che non si limitano a perseguire il benessere individuale dei lavoratori ce ne sono molti. Scegliere un piano di welfare che estenda i suoi benefici anche alla famiglia, alla comunità e al territorio in cui l’azienda è radicata è la sfida posta agli imprenditori illuminati di oggi e di domani. Una sfida che i privati non devono affrontare da soli, ma in sinergia con la Pubblica amministrazione. Il progetto Smart-Bo del Comune di Bologna ne è un esempio ed è già portato avanti anche in altri Comuni italiani.

 

La comunicazione come chiave del successo

 

È innegabile l’evoluzione subita dal welfare da piano imposto dall’alto a decisione condivisa e flessibile, che tiene conto della diversità dei bisogni. Ma questo aspetto è anche una grande criticità: la mancanza di un’adeguata informazione e comunicazione, interna ed esterna, su cos’è veramente il welfare, come funziona e quali sono i vantaggi che ogni singola persona può trarne.

 

Le conseguenze sono evidenti, per esempio, nei bassi tassi di conversione dei premi di risultato (è raro trovare, anche nelle aziende grandi, un tasso superiore al 30%, sebbene qualcuno parli addirittura del 10%); nell’insoddisfazione dei dipendenti che non possono fare una scelta veramente consapevole senza un’adeguata informazione; nella scarsa diffusione e utilizzo degli strumenti messi a disposizione che va a inficiare la reale efficacia del welfare; nella diffidenza e resistenza culturale che la Direzione del Personale incontra, sia ai vertici sia tra i dipendenti, quando cerca di introdurre un piano di welfare o modificare quello esistente.

 

Lo sa bene Alessandra Caraffini, HR di Ilma Plastica, che ha dovuto gestire un grande cambiamento culturale nell’azienda di famiglia: il passaggio dal welfare considerato come strumento economico alla convinzione del ruolo fondamentale delle persone e del loro benessere per raggiungere gli obiettivi aziendali. “Abbiamo lavorato per aiutare le nostre risorse a cambiare e a capire che il cambiamento non è male, senza forzare la mano e senza imporre”, racconta Caraffini.

 

Verso una nuova cultura del welfare

 

Ma quali sono gli sviluppi futuri del welfare. Sebbene gli esperti concordino che molto dipenderà dalle evoluzioni normative, che hanno una forza impattante molto elevata, questo non vuol dire che ci siano altri elementi da considerare. “Due anni fa, il 77% delle Piccole e medie imprese non sapeva dare un significato alla parola welfare”, rimarca Antonio Corrias, Responsabile sviluppo associativo e marketing comunicazione di Assidim, citando una ricerca della Camera di Commercio di Milano, Monza, Brianza e Lodi.

 

Per cambiare questi numeri, Corrias ne è certo, bisogna cambiare la cultura e considerare la salute come elemento fondamentale e imprescindibile del welfare. E, come è già successo in altri campi, la tecnologia può offrire un aiuto prezioso per vincere questa battaglia. Nello specifico, l’uso di strumenti innovativi, come App, servizi online e visite in video-conferenza, può contribuire a diffondere e rendere più accessibili questi servizi, garantendo al contempo la qualità e l’eccellenza delle soluzioni.

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alessia.albertin@tuttowelfare.it