Welfare aziendale e wellbeing sono sempre più integrati
Diverse colleagues doing neck stretching exercise standing in office. Multiethnic young office employees do workout exercises during break at work

Welfare aziendale e wellbeing sono sempre più integrati

Per molti è la nuova frontiera del benessere aziendale e sempre più organizzazioni aziendali stanno mettendo in campo progetti articolati per andare incontro alle esigenze dei propri lavoratori. Il wellbeing è una realtà in grande espansione. Abbiamo chiesto a Elena Panzera, Senior HR Vice President EMEA&AP di SAS qualche consiglio quali siano le direttrici da seguire quando si tratta di organizzare un piano di wellbeing, ecco cosa ci ha raccontato:

 

Come mai il wellbeing sta diventando sempre più importante all’interno delle politiche di welfare aziendale?
“Assolutamente, il welfare aziendale si sta evolvendo sempre più nel wellbeing e i due termini sono legati a filo doppio. Per spiegarne il legame dobbiamo partire dal ruolo che ha oggi l’azienda, soprattutto da quando è iniziata la pandemia. Oggi sempre più l’azienda è vista come un soggetto responsabile nei confronti di tutti i suoi Stakeholders e quindi è anche responsabile dei bisogni di conciliazione, di cura e di ricerca del benessere non solo dei suoi dipendenti, ma anche dell’ecosistema in cui l’azienda è inserita. Ovviamente il benessere e la sua ricerca riporta al concetto di wellbeing come condizione e stato d’essere e per questo è fortemente legato al concetto di welfare aziendale con cui si intendono tutte le azioni intraprese all’interno di una società per migliorare la vita dei dipendenti”.

 

Il wellbeing è sempre più importante, soprattutto quando parliamo di aziende fragili, come mai?
“Oggi il concetto di fragilità è molto esteso e con fragilità si intende un sistema che non regge alle sollecitazioni dell’ambiente se sottoposto a stress e a traumi. Se guardiamo i dati Istat ogni anno chiude il 9% delle aziende. Al contrario un individuo è anti fragile, noi come essere umani miglioriamo con l’apprendimento e tendiamo ad adattarci alle situazioni di stress. Il successo di un’impresa può basarsi proprio su questa anti fragilità, lavorare sempre più sul benessere e sul wellbeing ha un impatto chiaro sulle performance individuali e dell’azienda”.

 

Possiamo allora dire che il wellbeing è importante tanto per il dipendente quanto per l’azienda?
“Questo è davvero un punto cardine, quando parlo di weelbeing ricordo sempre che non è possibile avere un’azienda con il bilancio in attivo se le persone che la compongono non hanno un livello di wellbeing adeguato. Magari ce la fai nel breve periodo, ma una crescita continua è utopica. Questo perché un’azienda è fatta di prestazioni individuali e le prestazioni individuali, sono determinate da tre variabili principali: la prima è il benessere economico e fisico, la seconda è l’engagement e l’ultima è la percezione che le persone hanno di poter esprimere la propria personalità e abilità. Se queste tre dimensioni non sono vissute in maniera ottimale la prestazione individuale non potrà essere buona e sostenibile nel tempo e di rimando non sarà buona la prestazione dell’organizzazione. Su questo stiamo elaborando uno studio assieme all’Università Statale di Milano e anche i dati ci dicono quando sia importante occuparsi di wellbeing all’interno del welfare aziendale”.

 

Dalla teoria alla pratica, come si costruisce un piano integrato di wellbeing?
“Innanzitutto il consiglio è quello di intendere il wellbeing da un punto di vista olistico, considerandone tutti gli aspetti. Oggi si tende a considerare il wellbeing secondo cinque direttrici: la prima è il wellbeing fisico, quello che si può dire uno stato ottimale di salute. La seconda di direttrice, emersa soprattutto durante la pandemia, riguarda il benessere emotivo. La terza riguarda il wellbeing finanziario, la quarta quello sociale e l’ultima l’aspetto occupazionale.  Il primo consiglio è cercare di costruire un programma che veda l’applicazione di queste cinque dimensioni insieme o quantomeno le consideri nella sua totalità, non pensando che basti agire su una per agire automaticamente su tutte le altre. Partendo da quest’ottica la parola chiave è “personalizzazione”, sempre più i servizi devono essere tarati sulle esigenze individuali, a maggior ragione in un ambiente di lavoro ibrido, dove le esigenze sono davvero quelle della flessibilità. Ovviamente questo comporta un’esigenza di grande coinvolgimento dei dipendenti, bisogna conoscerli bene per sapere che tipo di servizi sono più importanti e avranno un maggior ritorno, sia per loro, sia per l’organizzazione. Coinvolgimento vuol dire comunicazione, quindi una fortissima attenzione all’ascolto dei bisogni e di comunicazione del perché l’azienda sceglie di dedicarsi ad alcuni servizi e non altri, tutto questo serve per creare fiducia. Quando si parla di wellbeing la fiducia è molto importante perché è il wellbeing appartiene molto alla sfera privata. Questa vicinanza è condizione necessaria, anche se non sufficiente perché il programma abbia successo”.

 

Sono sempre più le aziende che permettono il lavoro da remoto, questo come cambia i piani di wellbeing?
“Partirei da una provocazione, tutte le aziende che avevano un programma di wellbeing prima del febbraio 2020 e lo hanno ripreso uguale identico non sono sulla strada giusta. L’illusione di riaprire gli uffici e ritornare al passato, riaprire palestre e asili nido aziendali, ridare le stesse assicurazioni mediche non è quello che può risolvere i problemi di oggi. Siamo passati a una flessibilità estrema, a esigenze di lavoro ibrido, di conseguenza il programma di wellbeing deve essere ripensato completamente, oggi deve essere un programma sul territorio. Ad esempio, invece della palestra aziendale ha più senso aumentare il budget di flexible benefit e dare più voucher spendibili sul territorio. Il baricentro deve essere spostato dall’ufficio a dove si trovano i dipendenti e le famiglie”.

 

E per quanto riguarda il mental wellbeing?
“E’ in rapida ascesa, ancora nel 2019 in Italia e in generale in Europa era un concetto ancora da sdoganare, oggi i cosiddetti “employee assistance program” vedono una forte componente di cura della parte emotiva e psicologica e sta iniziando a emergere, finalmente, anche il tema del benessere finanziario. Tutti quei servizi che aiutano i dipendenti a prendersi cura del loro futuro finanziario stanno avendo una crescita esponenziale negli ultimi due anni. Questo periodo, se ci ha lasciato qualcosa di buono, è la consapevolezza di dover guardare al futuro che è sempre più incerto, attrezzandosi con servizi che prima non erano contemplati”.

 

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