Welfare aziendale, una contesa tra budget e benessere

Welfare aziendale, una contesa tra budget e benessere

Secondo l’indagine promossa da Tuttowelfare.info, tra gli obiettivi principali dell’introduzione di un piano di welfare ci sono la produttività e la riduzione degli oneri fiscali. I player del mercato commentano i risultati.

 

 

Produrre di più, ma a spese dei lavoratori. Sembra essere questo, in estrema sintesi, lo scopo delle imprese che adottano piani di welfare aziendale. Almeno è quanto è emerso dall’inchiesta promossa dal giornale online Tuttowelfare.info – Media Partner dell’evento Wellfeel di Padova del 31 gennaio 2020 – nella quale sono stati coinvolti circa 100 Manager della funzione Direzione del Personale del network ESTE (clicca qui leggere l’inchiesta integrale).

 

Il dato principale riguarda il fatto che nella maggior parte delle imprese coinvolte le fonti di finanziamento consistono nella conversione del Premio di risultato (Pdr) che, come è noto, è legato al tema della produttività. Sono più distanziate le fonti di finanziamento relative ai fondi dell’azienda (welfare on top) e ai fondi previsti nei Contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl). Tra le risposte emerge inoltre che uno degli obiettivi principali dell’introduzione di un piano di welfare è la riduzione degli oneri fiscali.

 

Per approfondire le tematiche emerse dall’indagine, la redazione di Tuttowelfare.info ha interpellato alcuni player del mercato con l’obiettivo di interpretare i risultati dell’inchiesta e capire in quale direzione stia andando realmente il welfare aziendale.

 

Due tipi di approcci nelle aziende

 

Valentina Sala, Progettista servizi di welfare di FITyourTIME, divide il ‘campo’ a metà. “Per esperienza vedo che esistono due tipi di aziende: quelle che hanno realmente a cuore il benessere dei dipendenti e mettono in atto decisioni in questo senso, riuscendo anche a far quadrare i conti; poi esistono le imprese che vedono il welfare come un obbligo imposto, come una nota dolente e un ‘contentino’ per i dipendenti, senza pensare però alle ripercussioni negative legate al turnover e al malessere delle persone, soprattutto quando si tratta di mansioni lavorative usuranti”.

 

L’obiettivo del welfare aziendale “dovrebbe essere quello di unire il budget e la cultura del benessere”, sostiene Sala, che ricorda come lo ‘stare bene’ al lavoro “si ripercuota anche nel privato” e l’impresa debba essere considerata come “un attore attivo in questo processo”.

 

Secondo l’esperienza di FITyourTIME (che propone servizi ad hoc legati principalmente alle tematiche di postura, psicologia e alimentazione) le maggiori richieste da parte delle aziende riguardano la formazione e la sensibilizzazione del personale sui temi di welfare, perché oggi manca ancora una percezione adeguata all’interno delle imprese. Inoltre “servirebbero una migliore normativa fiscale e una migliore comunicazione”, conclude Sala. “I manager faticano a districarsi nella burocrazia e spesso alcuni bandi interessanti passano in sordina”.

 

Un welfare a beneficio del territorio

 

Domenico De Liso, Fondatore di ComeBack Welfare (piattaforma innovativa di network B2B tra clienti e fornitori che permette di recuperare l’1,5% di ogni ordine per reinvestirlo in welfare aziendale), ha le idee chiare: “Non è corretto che la prima fonte di finanziamento risulti essere il Premio di risultato. Dovrebbe essere on top, cioè con risorse dirette dell’azienda, perché questo è il vero welfare. Il Pdr è un diritto del lavoratore, un bene già suo”.

 

L’idea di ComeBack Welfare è quella di “aumentare le risorse per arrivare a un welfare strutturato, con la possibilità di investire sul territorio e di progettare soluzioni che abbiano una ricaduta sociale a lungo termine”. Oggi i fondi per il welfare scarseggiano e lo scopo delle aziende dovrebbe essere quello di “riuscire a raccogliere più risorse per trasmettere indirettamente ricchezza alle comunità locali e al terzo settore”.

 

Riguardo alla normativa, De Liso ha un pensiero diverso: “Ritengo giusto che le regole siano stringenti e che non si aumenti il limite dei 258,23 euro per l’acquisto dei fringe benefit, perché ciò non servirebbe a creare circolarità e a produrre ricadute sociali e collettive”.

 

ComeBack Welfare si propone dunque come “una piattaforma etica e una leva di contrattazione in un regime fiduciario tra clienti e fornitori, aperta sia alle piccole sia alle grandi aziende”. Soprattutto nelle PMI, secondo De Liso, “è più difficile implementare il welfare per motivi dimensionali e culturali. Ma anche nelle piccole imprese l’utilizzo di un capitale socialmente utile può portare importanti benefici”.

 

Maggiore sensibilità nelle aziende

 

In questa fase storica “le aziende devono guardare sia ad aspetti legati al benessere sia alle agevolazioni fiscali”, sostiene Alessandro Barlotti, Fondatore di EssereBenessere Health Management (realtà sul mercato da 20 anni nell’ambito del Corporate Wellness). Di conseguenza è lecito che il Pdr sia la principale fonte di finanziamento. Ma Barlotti sottolinea come “tante aziende investano anche in benessere a lungo termine attraverso programmi on top”.

 

Oggi nelle imprese c’è “un’esplosione di richieste legate alle palestre aziendali e ai temi della salute”. EssereBenessere propone servizi in questo ambito con il proprio personale direttamente in azienda, andando incontro alle esigenze dei dipendenti che, per esempio, “possono effettuare un check up in azienda senza perdere tempo e senza prendere permessi”.

 

Secondo l’esperienza di Barlotti, il welfare aziendale non è solo appannaggio delle grandi aziende. “Anche quelle di medie dimensioni, soprattutto al Nord Italia, stanno capendone l’importanza”. Un maggiore aiuto “potrebbe arrivare da una semplificazione normativa e da una gestione politica più chiara, anche se rispetto ad alcuni anni fa sono stati fatti grandi passi in avanti”.

 

Il ruolo sociale dell’impresa

 

Il dato sul Pdr non sorprende Sabrina Colombo, Fondatrice e CEO di Mastermamma.it, piattaforma digitale che offre corsi di formazione genitoriale e coaching legati al work-life balance. “Esso rappresenta la missione dell’azienda, cioè offrire servizi per migliorare la vita dei dipendenti (privata e non) e allo stesso tempo ottenere un vantaggio in termini di produttività”.

 

La coesistenza tra la dimensione del benessere e quella economica, dunque, “rientra nella natura dell’azienda perché i manager, seppur attenti a far ‘stare bene’ i dipendenti, non possono prescindere dalla gestione aziendale”. Anche secondo Colombo il concetto di welfare è “ancora poco sviluppato”, in particolare nelle aziende del Centro Sud Italia. Una evidenza che si riflette ancora di più nelle piccole imprese perché “manca una struttura HR adeguatamente sviluppata come accade invece nelle grandi aziende”.

 

La percezione nelle aziende è comunque positiva: “Sempre più imprese con cui collaboriamo comprendono il loro ruolo sociale a sostegno dei dipendenti e delle loro famiglie. Questa attitudine può contare molto nell’attuale sistema socio-politico italiano: le aziende possono davvero fare la differenza”.

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gabriele.perrone@este.it