Welfare aziendale, zero in comunicazione

Welfare aziendale, zero in comunicazione

I piani benessere nelle imprese aumentano, così come il consenso tra i lavoratori. Ma solo il 17,5% di loro conosce bene il welfare aziendale e come funziona. Lo dice il Rapporto Eudaimon Censis 2019.

 

 

Il welfare aziendale continua la sua corsa come componente legittimamente riconosciuta da un sistema di tutele che sul fronte pubblico latitano. A dirlo è il Rapporto Eudaimon Censis 2019 in base al quale a novembre 2018 il 46,1% dei contratti di lavoro attivi aveva al suo interno un piano welfare. Il che signifca il 15,4% in più rispetto ad Agosto 2017. In crescita anche il consenso tra i lavoratori, tanto che il 68% di essi (+8,5%) è favorevole oggi a scambiare qualche incremento retributivo con servizi di welfare.

 

 

 

Comunicazione la grande assente

 

Ma il Rapporto ha acceso anche i riflettori sulle debolezze del WA, primo fra tutte la scarsa cultura sul tema da parte dei diretti interessati: i lavoratori. Infatti solo il 17,6% dei dipendenti lo conosce bene, percentuale che nel 2017 era al 17,5%. Il 41,4%  sa a grandi linee di cosa si tratta (-17% in un anno) e il 40,9% non lo consce affatto (+16,9%). Numeri che disegnano il fallimento delle aziende sul fronte della comunicazione e del coinvolgimento dei propri dipendenti su uno dei temi più caldi del momento. Soprattutto considerato il fatto che fra gli obiettivi principali del Wa vi è quello di fare leva sull’engagement della forza lavoro. Il tutto in un mondo del business che getta le sue fondamenta sulla comunicazione e sul riscontro just in time di essa. Una delle principali sfde per le aziende nel prossimo futuro sarà dunque quella di ripensare radicalmente il sistema di interazione con i dipendenti, introducendo efficaci modelli di comunicazione.

 

 

 

Non solo benefit

 

Un altro limite degli attuali piani di welfare aziendale messo in evidenza dall’ultimo Rapporto Eudaimon Censis è che il suo confine  con il mondo dei benefit, sponsorizzato da una fiscalità amica poco interessata all’anima sociale del welfare e ai bisogni reali dei lavoratori, è ancora troppo labile.  Come dire che il welfare aziendale ha bisogno di maturare, di crescere. Per farlo, come suggerisce il Rapporto, avrebbe bisogno urgentemente di uno statuto più preciso «che ne delinei i connotati e lo renda pienamente funzionale alle aspettative ed esigenze della comunità aziendale». Un passo in avanti da compiere velocemente se non si vuole rischiare di mettere a repentaglio la crescita futura di questo strumento.

 

 

Ampi spazi di crescita

 

Senza dimenticare però, che in un Paese dove gli stipendi sono al palo da più di 10 anni facendo precipitare inesorabilmente il potere di acquisto dei lavoratori, il welfare aziendale da solo non basta a migliorare il benessere delle persone, ma può contribuire solo in parte. E in questa sua fetta di “competenza” gli spazi di sviluppo restano ampi. Ad alimentarli sono da una parte gli stili di vita delle nuove generazioni e quella loro spiccata necessità di bilanciare al meglio vita lavorativa e vita privata e l’incremento costante della domanda di servizi per la famiglia, il cui ventaglio si ampia sempre più. Due aree sulle quali il welfare pubblico è inesistente.

 

 

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