Previdenza complementare e costi, la convenienza dei fondi pensione collettivi

Previdenza complementare e costi, la convenienza dei fondi pensione collettivi

Le forme pensionistiche alternative hanno un prezzo. I lavoratori devono conoscerli e valutarli per individuare il miglior prodotto su cui investire.

 

Il drammaturgo romano Publilio Sirio, conosciuto per i suoi aforismi che nel tempo si sono trasformati in noti aforismi, sosteneva: “Ogni cosa vale il prezzo che il compratore è disposto a pagare per averla”. Ed anche la previdenza complementare ha un ‘suo’ prezzo che va adeguatamente ponderato dal risparmiatore conferendo il ‘giusto’ valore al fondo pensione.

 

Come osserva la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip), i costi costituiscono un elemento essenziale da considerare nel confronto tra le forme pensionistiche complementari, ragion per cui il nostro sistema reputa indispensabile fornire un’informazione chiave per una scelta consapevole in fase di adesione.

 

Stante la possibile, anzi probabile lunga durata del periodo di partecipazione, e dato il processo di accumulazione che connota l’investimento, gli oneri che accompagnano la partecipazione alla forma previdenziale hanno un impatto rilevante sulla prestazione finale.

 

Dalla panoramica del mercato emerge che le soluzioni di previdenza collettiva, quelle cioè tipiche dei piani di welfare aziendali, sono quelle più convenienti in termini di costo. A ciò va aggiunto che aderendo a un fondo pensione negoziale-fondo pensione aperto ad adesione collettiva si acquisisce il diritto al contributo del datore di lavoro in una combinazione sinergica di assoluto vantaggio.

 

Su orizzonti temporali di lungo periodo, prosegue la Covip, anche piccole differenze nell’onerosità delle diverse forme pensionistiche producono un impatto rilevante sulla prestazione finale.

 

Onerosità legate alle caratteristiche dell’investimento

 

L’onerosità delle diverse forme pensionistiche può essere misurata Indicatore sintetico di costo (Isc) introdotto dalla Covip come elemento dell’informativa da fornire ai potenziali iscritti fin dal 2007, e già in precedenza utilizzato a fini di analisi; esso esprime in modo semplice e immediato l’incidenza percentuale dei costi sostenuti annualmente da un iscritto sulla propria posizione individuale accumulata.

 

Tutte le forme di nuova istituzione calcolano l’indicatore secondo un’analoga metodologia definita dalla Covip. Le stime sono effettuate ipotizzando il versamento di un contributo annuo di 2.500 euro e un rendimento annuo del 4%; l’Isc è calcolato considerando diversi periodi di partecipazione (due, cinque, 10 e 35 anni), tendendo a ridursi all’aumentare dell’orizzonte temporale per effetto della ripartizione delle spese fisse su un montante in via di accumulazione. Nell’interpretazione dei valori dell’Isc occorre tener conto delle differenze strutturali tra le diverse tipologie di forma e dalle caratteristiche delle opzioni di investimento offerte.

 

I fondi negoziali sono organizzazioni senza scopo di lucro in cui soltanto i costi amministrativi e finanziari effettivamente sostenuti dal fondo si riflettono sul valore della posizione individuale degli iscritti.

 

Nelle forme di mercato, invece, le spese che gravano sugli iscritti vengono determinate in via preventiva dalla società istitutrice e servono a remunerare l’impresa oltre che a coprire gli oneri effettivamente sostenuti; tra questi ultimi, una quota cospicua è rappresentata da quelli relativi al collocamento dei prodotti, con livelli che dipendono dal canale distributivo utilizzato. Tali fattori, insieme con la struttura di mercato, contribuiscono a determinare valori dell’Isc relativamente più elevati nei fondi aperti e soprattutto nei Piani pensionistici individuali (Pip).

 

La maggiore convenienza dei fondi pensione collettivi

 

Attingendo alla Relazione annuale della Covip, i prodotti più convenienti restano i fondi pensione negoziali: da un Isc medio dell’1,07% su due anni di partecipazione si scende allo 0,26% su 35 anni. Per fondi aperti e Pip, l’Isc calcolato sui medesimi orizzonti temporali passa, rispettivamente, dal 2,37 all’1,24% e dal 3,87 all’1,83%.

 

In generale, l’Isc dipende anche dalla linea di investimento offerta, assumendo tipicamente valori più elevati per le linee a prevalente contenuto azionario. I comparti azionari dei Pip, i più costosi, registrano differenziali che sui due anni di partecipazione sono di circa 3,4 punti percentuali rispetto ai fondi negoziali e di 1,8 punti rispetto ai fondi aperti. Pur riducendosi, i differenziali restano rilevanti anche su 35 anni di partecipazione: rispettivamente, 2,1 e 0,7 punti percentuali.

 

Nei comparti bilanciati, la maggiore onerosità dei Pip è in media di circa 2,6 punti rispetto ai fondi negoziali e 1,1 punti rispetto ai fondi aperti, per quanto concerne il periodo più breve. Su 35 anni i divari si riducono, rispettivamente, a 1,7 e 0,6 punti percentuali.

 

Infine, anche nei comparti garantiti e obbligazionari si osservano differenze in media di circa 2,6 e 2,4 punti percentuali in più rispetto ai fondi negoziali e di 1,4 punti rispetto ai fondi aperti, su due anni di partecipazione. Allungandosi la partecipazione a 35 anni, la forbice si riduce all’incirca a 1,1-0,4 punti nei comparti garantiti e a 1,4-0,6 punti nei comparti obbligazionari.

 

In rapporto al patrimonio gestito, l’analisi degli oneri per singola forma pensionistica consente di mettere in luce l’eventuale capacità di conseguire risparmi di costo legati alla scala dimensionale. Per i fondi pensione negoziali, già su livelli molto competitivi anche nel confronto internazionale, emerge una chiara relazione inversa fra i costi praticati e la dimensione, sfruttando economie di scala generate dalla ripartizione di oneri amministrativi tipicamente invarianti rispetto al patrimonio.

 

Viceversa, per le forme che raccolgono adesioni individuali, in particolare per i Pip, si riscontra un’ampia dispersione dei costi che si posizionano su valori elevati anche per prodotti con quote di mercato rilevanti in termini di patrimonio gestito.

 

* Lorenzo Giuli è un esperto di previdenza complementare

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