Una nuova cultura dell’autotutela per il futuro del welfare

Una nuova cultura dell’autotutela per il futuro del welfare

Per il rapporto Censis-Aipb la maggior parte degli italiani crede che il welfare pubblico garantirà i servizi essenziali, mentre per il resto chi potrà dovrà pagare da sé le prestazioni. Ma l’autotutela non è solo a beneficio dei più abbienti.

 

Il welfare pubblico non basta più, non solo per la quantità di risorse ma anche per le modalità di offerta. Per questo è scattata la corsa all’autotutela. Lo conferma il terzo Rapporto dell’Associazione Italiana Private Banking (Aipb) e Censis, Investire nel futuro dell’Italia oltre il Covid-19, pubblicato a novembre 2020. Ne è emerso che una buona finanza, che trasferisca fondi dal portafoglio dei risparmiatori abbienti verso strumenti di investimento nell’economia reale, sia possibile per l’84,9% degli italiani, e necessaria per l’87,4%.

 

Il report scatta una fotografia dei cosiddetti ‘benestanti’, che in Italia per il Censis sono 1,5 milioni di persone. Queste detengono un patrimonio finanziario complessivo di 1.150 miliardi di euro, pari a tre quarti del Pil italiano atteso nel 2020. Attualmente le loro maggiori preoccupazioni, secondo il sondaggio, sono le malattie e le minacce al reddito. Per questo l’87,5% indica come priorità investire in coperture assicurative per la salute, la vecchiaia, l’educazione dei figli. Il 42% ha infatti già sottoscritto assicurazioni, e il 25% è intenzionato a spendere di più per la sanità integrativa.

 

Accedere alla previdenza complementare non è una questione da ricchi

 

Più della metà degli intervistati si aspetta che in futuro il sistema di welfare pubblico garantisca i servizi essenziali come le terapie intensive nella sanità e gli interventi salvavita, mentre per il resto chi può dovrà pagare da sé le prestazioni. “Il welfare pubblico ha per forza di cose risposte standard a bisogni emergenti, che però sono sempre più diversi e stratificati, come nel caso della pandemia”, commenta Edoardo Zaccardi, Senior Welfare Consultant di Eudaimon. “Ora si è finalmente compreso che lo Stato non potrà dare tutto a tutti per sempre”, aggiunge.

 

Dall’osservatorio di Eudaimon emerge infatti una nuova consapevolezza, quella di dover provvedere a determinate situazioni in autonomia: questo spiega anche l’aumentata richiesta di polizze di longterm care, per citarne una. “La possibilità e la lungimiranza dei cittadini più benestanti nell’investire in forme di autotutela per il futuro dovrebbero essere appannaggio di tutti, anche perché si può aderire alla previdenza complementare e alla sanità integrativa tramite i contratti collettivi di lavoro, a costo zero o comunque molto basso”, ricorda Zaccardi.

 

Meglio investire il credito welfare in progetti a lungo termine

 

Il tema, quindi, non è tanto quello delle risorse economiche, quanto della conoscenza delle possibilità previste dal proprio contratto, soprattutto per la previdenza. “Molti giovani lavoratori, per esempio, avrebbero le risorse per aprire un fondo pensione. Tuttavia sono pochissimi i trentenni che hanno avviato un piano di previdenza complementare”, sottolinea Zaccardi. Secondo i dati di Eudaimon sui propri clienti, nel 2020 le risorse di flexible benefit destinati alla previdenza complementare o alle casse sanitarie si attesta intorno al 18%.

 

La cifra segna un aumento di 2 punti percentuali rispetto al 2019, confermando il trend dell’aumento dei lavoratori che utilizzano il credito welfare per l’autotutela. “Il mio auspicio è che ci sia più sensibilità nell’utilizzare le risorse del welfare aziendale, investendolo nel welfare di autotutela a lungo termine e non nei buoni acquisto spendibili subito, anche se è raddoppiato per il 2020. Bisogna promuovere una nuova cultura della lungimiranza”, conclude Zaccardi.

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