Coinvolgere i dipendenti? Ci pensa l’open agent

Coinvolgere i dipendenti? Ci pensa l’open agent

Il  facilitatore del cambiamento organizzativo si inserisce nel progetto di azienda aperta dove le persone sviluppano processi, comportamenti basati sulla collaborazione e la fiducia reciproca. Chi è e cosa fa l’open agent.

 

Fare welfare aziendale non significa solo mettere a disposizione dei propri dipendenti una piattaforma che eroga servizi e bonus, significa cambiare radicalmente la propria organizzazione aziendale per raggiungere il massimo dell’efficienza e della produttività. E questo obiettivo si può raggiungere solo creando contesti dove le persone si sentono realizzate perché hanno la possibilità di imparare, crescere, esprimere davvero quello che sono. In pratica con il coinvolgimento e la partecipazione dei dipendenti nella vita dell’impresa. Già, perché come recitano diverse autorevoli pubblicazioni di management e consulenti aziendali, l’eccessivo personalismo e accentramento delle responsabilità è ormai superato. Oggi un solo uomo al comando non basta per muoversi strategicamente su mercati sempre più complessi. E’ necessario scardinare le vecchie strutture e far partecipare il personale interno ed esterno alla vita dell’azienda. Ascoltare le loro idee, condividere le problematiche.  Insomma bisogna  convincersi una volta per tutte che fare innovazione non significa solo investire in nuove tecnologie o in ricerca ma anche nel cambiamento della propria organizzazione oltre che nell’aggiornamento costante delle competenze delle risorse interne.

 

Come si arriva a una organizzazione collaborativa

 

Certo il passaggio da una organizzazione gerarchica a una collaborativa è tutt’altro che banale, richiede tempo, costanza, coerenza e formazione a tutti i livelli aziendali. Percorsi mirati attraverso i quali la risorsa umana capisce la situazione aziendale e i progetti futuri, valorizza le sue idee e le propone. «E servono momenti di incontro tra i dipendenti di un determinato comparto aziendale, per favorire lo scambio di idee e conoscenze e questo non solo per innovare ma anche per capire in tempo i propri punti di forza, farli emergere e affrontare in modo opportuno momenti di crisi», spiega Tommaso Cavalli, Partner di K Group società di consulenza che da 20 anni si occupa di Performance Measurement e Corporate Performance Management.  Anche perché «Imprenditori e manager potranno sopravvivere alle sfide dei mercati globali solo se sapranno creare un contesto dove le persone, sempre al centro della politica aziendale, non vengono valutate solo per il loro sapere, ma anche per la capacità di scambiarla», aggiunge Sergio Campodall’Orto, docente di Imprenditoria presso la facoltà di Design del Politecnico di Milano.

 

L’open agent facilita il cambiamento

 

Così il concetto di economia collaborativa che sta alla base della sharing economy dovrebbe entrare con prepotenza nelle nostre aziende. «Oggi sempre più spesso si sente parlare di economia della fiducia e della condivisione in cui le protagoniste sono organizzazioni aperte. Ma queste esistono solo se dirigenti e/o proprietà si fidano dei propri collaboratori», interviene Paolo Bruttini, socioanalista e  Presidente di Forma del Tempo, società di consulenza dedicata al cambiamento organizzativo e all’innovazione, attiva sul mercato nazionale dal 1996.
L’evoluzione dei rapporti interni all’azienda è indubbiamente complessa e non solo per le resistenze del top manager, ma anche per quelle delle risorse umane, abituate a muoversi e a confrontarsi in contesti basati su modelli Top-down.

 

Non solo manager interni

 

Per raggiungere più agevolmente una organizzazione collaborativa, aperta e flessibile è nata la figura dell’open agent. «Un facilitatore del cambiamento che si inserisce nel progetto di un’azienda aperta, un’impresa al cui interno le persone sviluppano processi, comportamenti basati sulla collaborazione, sull’auto-organizzazione. Il ruolo può essere ricoperto da una manager dell’organizzazione o da una persona che nell’organigramma aziendale non ha un ruolo di primo piano o addirittura da un consulente esterno alla società», prosegue Bruttini. «E’ una figura professionale che  conosce  la cultura dell’agilità e dell’openness e ne parla all’interno dell’impresa per far sapere a tutto il personale che si può andare oltre le dinamiche di controllo. Parla i diversi linguaggi delle tribù aziendali e le fa dialogare. Sa capire che aria tira, ascoltare i bisogni, cogliere le intuizioni», continua Bruttini. Ma sa anche che tra il personale, a volte, c’è paura di cambiare, ci sono ansie e resistenze. E sa come trattarli, come rassicurare le persone, aiutarle a rielaborare quello che sta succedendo e a darne un senso.  «Il tutto con l’obiettivo di favorire l’auto organizzazione e la social collaboration», chiosa il consulente.

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