Diritti sociali e welfare integrativo

Diritti sociali e welfare integrativo

La piena diffusione dei piani di welfare aziendale presuppone un ruolo attivo e convinto dei sindacati, i quali dovranno abituarsi sempre di più a contrattare non solo la componente monetaria del salario, ma anche quella cosiddetta ‘in natura’, inerente a una serie di servizi, prestazioni sociali e più in generale il benessere dei lavoratori.

 

In questi ultimi anni, soprattutto nel corso della lunga crisi economica, in molti accordi aziendali è stato introdotto, o si è sviluppato, il capitolo del welfare aziendale, ossia proprio la componente della retribuzione in natura, utile come sostegno al potere d’acquisto, per l’apertura ai servizi alla persona e la conciliazione dei tempi vita-lavoro.

 

La molla è stata la consapevolezza che ridurre le disuguaglianze e accrescere il benessere dei lavoratori non passano soltanto attraverso la questione del reddito. Attraverso il welfare aziendale, c’è infatti la possibilità di costruire risposte concrete ai bisogni delle persone, sfruttando economie di scala tali da garantire l’abbassamento della soglia di accesso a servizi, come a beni e opportunità, altrimenti di difficile fruizione.

 

Nel settore metalmeccanico, stiamo recuperando molto velocemente i ritardi che si sono registrati in questi anni dovuti all’ostilità della Fiom prima rispetto alla previdenza complementare, poi alla sanità integrativa. Nel 1997 la Fiom accettò obtorto collo l’introduzione del fondo pensione Cometa nel contratto nazionale. La loro riserva era ispirata al timore del rischio, infondato, di uno smantellamento del sistema previdenziale pubblico. Nel 2009, con la nascita del fondo sanitario integrativo MètaSalute, la storia si è ripetuta: la Fiom non accettò di prenderne parte, accusandoci di “smantellare il servizio sanitario nazionale”.

 

Successivamente, però, a livello locale e nei contratti delle piccole e medie imprese ha firmato ovunque per la costituzione di fondi di categoria. Dal 2001 abbiamo scelto di non aspettare più e di praticare l’innovazione su questi temi recuperando ritardi significativi: il prezzo pagato è stato che su sei contratti nazionali la Fiom ne ha firmati solo due. Oggi le tute blu della Cgil, nel rapporto con alcuni gestori, si sono smarcate dal vincolo ideologico sostenendo alcuni fondi sanitari territoriali o in piccole e medie imprese.

 

Sta cambiando il patto sul lavoro: stiamo passando da uno scambio lavoro-retribuzione a uno più ampio e completo, ossia lavoro-benessere. Un lavoratore già oggi valuta positivamente un’azienda non solo in base al salario che percepisce, ma anche al clima e ai servizi che accrescono il suo benessere. Le vecchie mutue sanitarie e il social housing sono stati inventati dalle grandi imprese.

 

Ricordate il Villaggio Falck a Sesto San Giovanni? E le colonie estive per i figli dei dipendenti? E le borse di studio? Certo è che il welfare pubblico deve rimanere ad accesso universalistico, mentre quello integrativo aziendale, in rete con quello di prossimità, può rappresentare una dimensione forte di risposta ai bisogni sociali, sia tradizionali sia nuovi, in una logica integrativa, sapendo che lo Stato da solo non è più in grado di farcela.

 

Si pensi, poi, ai problemi di sovraindebitamento dei lavoratori stessi, che a causa di una scarsa consapevolezza delle risorse finanziarie disponibili, generata anche da un modello sociale che spinge a indebitarsi, non sono in grado di pianificare i costi, per esempio, relativi alla nascita di un figlio, oppure tenere in conto la possibilità che sopraggiungano eventi non previsti, come una malattia, o le difficoltà della vecchiaia; così come non sempre hanno coscienza delle necessità di essere forti nel mercato del lavoro cogliendo opportunità di studio e formazione. Un sistema di welfare integrativo può essere utile a orientare l’impiego delle risorse personali e familiari per scoraggiare l’inseguimento di consumi insostenibili e per conseguire un miglioramento delle condizioni di vita.

 

* L’articolo è un estratto del capitolo ‘Contrattare la transizione in un futuro di democrazia industriale’ scritto da Marco Bentivogli, contenuto nel libro a cura di Chiara Lupi, Il futuro della fabbrica in uscita a maggio 2019, Edizioni ESTE.

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