Il buon tempo del welfare

Il buon tempo del welfare

Non solo beni e servizi legati al benessere delle persone. Carter&Benson ha scelto di ridurre le ore di lavoro per tutti i dipendenti, adottando una logica di produzione smart & fair.

 

È un’idea innovativa di welfare, quella di Carter&Benson, società milanese di consulenza e selezione di figure manageriali, che da gennaio 2020 mette in campo un progetto che prevede la riduzione dell’orario di lavoro di quattro ore per tutti i dipendenti a parità di stipendio, Mbo e benefit.

 

“Una modalità di lavoro smart & fair”, spiega a Tuttowelfare.info William Griffini, CEO della società: “Quattro ore di permesso retribuito utilizzabili anche in modo frazionato nell’arco della settimana”.

Il progetto verrà poi valutato a ottobre 2020; se l’esito sarà positivo le ore di permesso retribuito settimanali saliranno a otto nel 2021. Un’intera giornata lavorativa. “Credo molto in questo progetto, entusiasmante, ma impegnativo sul versante burocratico: per realizzarlo abbiamo dovuto creare un sottofondo giuslavoristico ad hoc”. In Carter&Benson, infatti, il Ccnl adottato è quello del terziario: 40 ore settimanali spalmate su cinque giorni.

 

“Il nostro nuovo orario di lavoro regala più di 200 ore l’anno ai dipendenti. Regala tempo. Una risorsa scarsa, ma di valore inestimabile”, sottolinea Griffini. “Si tratta di un cambio di paradigma: che si fonda su responsabilità, autonomia e qualità del lavoro”.

 

Per chi lavora in modo efficiente, dunque, è una straordinaria opportunità. “Chi, invece, è focalizzato sulla quantità, più che sulla qualità, non riesce ad apprezzare fino in fondo la portata di questo esperimento”, commenta il CEO di Carter&Benson.

 

“Non si tratta di denaro, ma di un vero e proprio cambiamento nell’intendere il tempo in azienda. L’idea è di valorizzare e promuovere il lavoro svolto in modo qualitativamente eccellente. Dunque l’impegno di ognuno, che si traduce anche in un miglior servizio erogato ai clienti, è fondamentale”. Tanto più se, come spesso accade, le ore davvero produttive sono meno di quelle spese sul posto di lavoro (si veda, per esempio, la frequentazione dei social dall’ufficio).

 

Dipendenti soddisfatti (quasi) all’unanimità

 

Quasi superfluo segnalare che le reazioni dei collaboratori della società milanese sono state quasi tutte positive. “I dipendenti si sono dimostrati entusiasti”, riferisce Griffini. “Anche se non è mancata qualche obiezione in merito a una possibile perdita di straordinario”.

 

In realtà a farne le ‘spese’ è l’azienda stessa, visto che secondo il manager adottare una soluzione del genere “può significare l’assunzione di personale”. La riduzione dell’orario di lavoro, infatti, non prevede di attivare Smart working per compensare le ore regalate ai dipendenti.

 

Sul lato strettamente aziendale, poi, occorre rimarcare che un’iniziativa di questo tipo, finalizzata al benessere e alla qualità della vita dei dipendenti, è possibile perché l’azienda gode di ottima salute e di conti in ordine. “Difficile giustificare, per esempio alle banche, il pagamento di ore non lavorate se l’azienda fosse in perdita”, chiosa il CEO della Società.

 

Sorge, a questo punto, spontanea, una domanda. Dal momento che Carter&Benson è attiva nella ricerca di figure manageriali, l’idea di un welfare aziendale evoluto e innovativo come quello adottato dalla stessa società che si occupa di recruiting, può rappresentare una leva di attraction per figure professionali di alto livello?

 

“La nostra idea è valorizzare, anche attraverso il welfare, il lavoro e il percorso di carriera. Ma l’offerta di bonus e benefit in sé non può configurare una leva di attraction se non ha alla base un pensiero onesto”, dice Griffini. Deve esistere nelle aziende, secondo il CEO di Carter&Benson, una vera responsabilità sociale, un’attenzione sincera e non di facciata all’ambiente e alle differenze di genere; un’integrità manageriale. “I giovani, soprattutto, sono molto attenti a questi valori”, puntualizza il manager. Che poi sottolinea come occorra anche distinguere i differenti contesti economici.

“Inutile ricordare come i contesti produttivi ed economici del Paese siano diversi tra Nord e Sud. Dove l’economia prospera le figure professionali qualificate possono permettersi di scegliere, avendo a disposizione un’offerta ricca e diversificata”. In realtà economiche di scarso richiamo, invece, “il welfare non è una discriminante fondamentale, mentre lo è, ancora, il posto di lavoro in senso stretto”.

 

In situazioni altamente competitive e per figure molto ricercate, come per esempio gli ingegneri informatici, spiega Griffini, il clima generale d’impresa è un fattore molto importante. “Ben vengano quindi le offerte di bonus aziendali e benefit, ma senza dimenticare l’etica e la responsabilità sociale dell’azienda”. Da qui il tema dell’importanza per i dipendenti di trovare sul luogo di lavoro un clima aziendale positivo, che permetta di sviluppare la propria autonomia e la condivisione degli obiettivi raggiunti con la squadra dei colleghi.

Serve un patto dipendente-impresa

 

Diverso il ragionamento, sottolinea il manager di Carter&Benson, se chi lavora rivendica soltanto diritti e non si impegna a rispettare i patti. “Il patto con l’impresa e il valore del lavoro svolto al meglio sono un aspetto fondamentale”. Altrimenti, “come imprenditore, posso arrivare a decidere di sostituire una risorsa che non ottempera in modo qualitativamente eccellente ai propri obblighi”. Dunque, onestà intellettuale e rigore sono alla base della capacità di attrazione di un contesto lavorativo piuttosto che un altro.

 

“Non credo ci si possa appiattire sulla semplice osservanza delle prescrizioni di legge. Anche le quote rosa, per esempio, devono essere fatte perché l’azienda ci crede veramente, altrimenti si tratta soltanto dell’osservazione di dettami legislativi”.

 

Le nuove generazioni, secondo Griffini, “preferiscono ambienti in grado di valorizzare il loro operato e la possibilità di crescita professionale”. È importante, per il manager, più del welfare in se stesso, la coerenza tra il lavoro e i risultati e l’etica alla base dell’attività aziendale. Misure come lo Smart working, secondo Griffini, se vincolate (per esempio ad alcuni giorni della settimana), non rappresentano una politica di welfare davvero efficace.

 

Tuttavia, se utilizzate in modo flessibile possono diventare una importante leva economica anche per l’azienda. “Diminuire le presenze fisiche sul luogo di lavoro può significare che si possono utilizzare spazi fisici ridotti, e dunque risparmiare sui canoni di affitto, abbassando i costi fissi”.

 

E soprattutto, per valutare l’attrattività delle misure di welfare, secondo il CEO di Carter&Benson, occorre anche considerare il percorso di carriera del dipendente. “A inizio carriera le misure di welfare e i benefit aziendali rivestono un’attrattività maggiore, mentre più si avanza con gli anni e con la carriera gli obiettivi personali cambiano e sono rivolti anche al disegno globale di politica industriale dell’azienda”.

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