Possibili nuovi scenari per il welfare aziendale nella PA

Possibili nuovi scenari per il welfare aziendale nella PA

La diffusione del welfare aziendale nel settore pubblico in Italia è ancora in una fase embrionale però la normativa fiscale già lo consente.

 

Avv. Donatella Cungi, partner di Toffoletto De Luca Tamajo e alla guida del team dedicato al welfare aziendale.

Sempre più frequentemente riceviamo richieste di supporto anche da parte di aziende pubbliche, che si mostrano interessate a comprendere se, sfidando un tabù diffuso tra gli operatori del settore, sia possibile garantire anche ai dipendenti pubblici il trattamento ormai consolidato nel privato e comprendere quindi gli aspetti fiscali connessi all’istituzione in azienda di erogazioni premiali e di forme di welfare a favore dei propri dipendenti.

Questo trend consulenziale in crescita è molto interessante perché ormai il ricorso al welfare da parte delle aziende del settore privato – a differenza di quello pubblico – è un fenomeno molto diffuso che, di fatto, ha assunto le più variegate connotazioni a seconda delle diverse realtà aziendali in cui è stato attuato. Indubbiamente questa diffusione è stata favorita dalle modifiche normative degli ultimi anni, che hanno introdotto la possibilità di convertire i premi di risultato detassati, a determinate condizioni ed entro certi limiti, in beni e servizi.

Ad oggi,  invece, nella Pubblica Amministrazione è ancora espressamente preclusa la possibilità di conversione in welfare dei premi di risultato e, pertanto, risulta non utilizzabile dalle aziende pubbliche proprio lo strumento tramite il quale il welfare nelle aziende private è stato fortemente incentivato dal legislatore.

 

La normativa fiscale è pronta

 

Nonostante questo, è importante ribadire che le attuali disposizioni fiscali su cui si fonda il welfare aziendale sono comunque applicabili sia al settore pubblico sia al settore privato e anche l’Agenzia delle Entrate ha avuto occasione di precisare che «i beni e servizi attribuiti ai lavoratori, anche a titolo premiale, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente se rientrano nelle fattispecie esentative dei commi 2 e 3 dell’articolo 51 del TUIR» e se l’obbligazione del datore di lavoro ha ad oggetto «sin dal suo nascere, la erogazione di beni e servizi e può essere adempiuta solo con tale modalità».

Sulla base della portata generale dell’art. 51 TUIR e delle indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria, si può quindi inferire che già oggi sussistono i necessari presupposti normativi fiscali per riconoscere la possibilità alle aziende pubbliche di introdurre piani welfare, anche premiali, rivolti alla generalità o a categorie di dipendenti, tramite attribuzione di beni e servizi di cui all’art. 51 TUIR.

Dott. Diego Paciello, responsabile area fiscale, Welfare, Compensation and Benefits di Toffoletto De Luca Tamajo

Questa riflessione, tuttavia, deve certamente fare i conti con le specificità della vasta normativa applicabile alle aziende del settore pubblico (in tema di remunerazione, individuazione delle risorse impiegabili, condizioni alla contrattazione…), sebbene si rileva che anche la contrattazione collettiva nel settore pubblico si sta (timidamente) mostrando più propensa ad introdurre forme di welfare aziendale: a titolo esemplificativo, si consideri che il CCNL del personale del comparto Funzioni Locali ha previsto, all’art. 72, la concessione di benefici di natura assistenziale e sociale in favore dei propri dipendenti.

In conclusione, è certamente vero che la diffusione del welfare aziendale nel settore pubblico in Italia è ancora in una fase embrionale e ben lontana da quella a oggi presente nel settore privato, però la normativa fiscale è già adatta a consentirlo e se anche le aziende pubbliche vorranno sperimentare nuove forme di retention e di incentivazione dei dipendenti, gli strumenti per farlo sono già a disposizione.

 

 

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