Togliere alle piattaforme web per dare al welfare

Togliere alle piattaforme web per dare al welfare

Per il filosofo Maurizio Ferraris tassare le piattaforme web per l’utilizzo dei nostri dati (e contenuti) offrirebbe agli stati ingenti fondi per sostenere i progetti di welfare

 

Dopo essere stato considerato a lungo il paradiso in Terra e la prateria delle infinite possibilità, il web si sta trasformando nel male assoluto. Lo sostiene Maurizio Ferraris, Professore Ordinario di Filosofia Teoretica all’Università di Torino, che ha ideato il termine “webfare”, cioè un welfare digitale in cui l’umano varrebbe non per quello che produce, ma per il livello di educazione e di sviluppo di potenzialità che potrebbe raggiungere.

 

Per spiegare meglio questa parola, Ferraris ricorre al paragone tra la Cina e l’Occidente: “Pechino ha conosciuto grazie al web uno sviluppo economico impressionante e ha potuto ridistribuire in termini di welfare l’enorme plusvalore realizzato dalle piattaforme. Tutto questo però ha un costo, cioè la forte riduzione delle libertà individuali, in piena coerenza con il comunismo”. In Occidente, invece, per il filosofo saremmo difficilmente disposti ad accettare una simile riduzione della libertà, ma proprio per questo paghiamo un prezzo enorme: la mancanza di welfare e la disoccupazione crescente, conseguenza dell’automazione sempre più perfetta, che rende sempre meno necessario l’homo faber. “Tuttavia, credo che nessuno rimpiangerebbe i lavori che sono sostituiti dalle macchine, che, proprio alla luce di questa situazione, possono essere considerati indegni per gli esseri umani”, commenta l’esperto.

 

Guardare le piattaforme web come Don Chisciotte è pericoloso

 

Per Ferraris spesso vediamo mostri dove non esistono, e molto spesso analizziamo il presente con un atteggiamento donchisciottesco (Don Chisciotte della Mancia è il romanzo seicentesco scritto da Miguel de Cervantes). “Ma le trasformazioni, così come le catastrofi, non basta accettarle passivamente: bisogna agire con riflessività e inventiva/creatività”, avverte il filosofo. “Viviamo infatti spesso nella convinzione che lo scambio tra l’utente e la piattaforma sia equo: il primo dà gratis informazioni, la seconda ne restituisce altre, sempre gratis”. Ma non è così. Gli esseri umani, in realtà, producono valore sul web senza esserne consapevoli: se l’utente riceve soltanto poche informazioni generiche, ne fornisce alla piattaforma molte di più e soprattutto più precise consentendo al provider di arricchirsi con i dati.

 

Ma soprattutto la piattaforma digitale, diversamente dall’utente, diviene proprietaria dei dati ed è in grado di confrontarli con quelli che riceve da altri utenti, traendone vantaggio.

 

Per affrontare la situazione entra in gioco il welfare digitale. Ferraris parte dalla consapevolezza che molti lavori stanno scomparendo: “È vero che nel momento in cui un drone sostituisce un fattorino si è eliminata una professione ‘indegna’ di essere svolta da un essere umano, ma nasce il problema che una persona ha perso la sua fonte di reddito”. Quindi qual è la soluzione? “Possiamo agire nel modo proprio degli esseri umani, cioè manifestando desideri ed esercitando consumi, che sono l’unica cosa che non potrà mai essere automatizzata”, propone Ferraris.

 

Lo scopo e il senso di produzione e distribuzione di contenuto, infatti, consistono proprio nel soddisfare desideri e consumi, e se diventiamo capaci di analizzare il plusvalore generato dal web, ci mettiamo anche nelle condizioni di attuare il welfare del XXI secolo. L’essere umano dovrebbe quindi trasformare in fonte di reddito proprio ciò che lo contraddistingue dalle macchine, cioè manifestare desideri ed esercitare consumi: il ‘ricavato’ da questa ricchezza sarebbe poi da redistribuire sotto forma di welfare.

 

Tassare le grandi piattaforme web per ridistribuire la ricchezza

 

Questo nuovo welfare ottiene finanziamenti dalla tassazione delle piattaforme web da parte degli Stati. “I fondi recuperati sarebbero investiti nel sostegno delle enormi quantità di persone che stanno perdendo i vecchi lavori, oppure in opere di educazione e di reskilling, e questo non per una generica filantropia, ma semplicemente per il fatto che se è inutile cercare di battere le macchine sul piano della produzione e della distribuzione, c’è un campo in cui gli umani non possono essere sostituiti efficacemente da nessun’altra macchina, cioè proprio quello di vivere e avere desideri”, spiega Ferraris.

 

Inoltre è altamente improbabile che le piattaforme dominanti rimangano in numero così limitato come oggi. “Nel momento in cui tutti gli imprenditori comprenderanno l’enorme vantaggio competitivo che si ricava dal possesso di una piattaforma, queste si moltiplicheranno, il che farà sì che si generi un rilancio dell’economia rafforzata dai vantaggi che vengono dalla automazione, dalla conoscenza del mercato, e dal rispetto dei cittadini”, dice. Il filosofo si augura di assistere così a una futura crescita civile, in cui le macchine svolgono le mansioni faticose e ripetitive, e agli umani resta l’inestimabile ‘lavoro’ di vivere, che dà senso a tutto il sistema, e che nessuna macchina potrà mai surrogare.

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