Spesa sanitaria privata in aumento

Spesa sanitaria privata in aumento

Nel periodo 2013-2017 i costi sostenuti dalle famiglie sono aumentati del  9,6%. 7 milioni le persone che si sono indebitate per curarsi. Lo dice l’ultimo Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute.

 

La crisi (partendo da quella del welfare) mette le ali alla spesa sanitaria privata. Soltanto nel periodo 2013-2017 il giro d’affari, o meglio le spese delle famiglie, è schizzata a 40 miliardi, crescendo del 9,6 per cento. Il doppio rispetto agli altri consumi. Se non bastasse, a segnare questa svolta, ci sono anche 7 milioni di persone che per accedere alle cure devono indebitarsi, mentre 2,8 milioni denunciano che alla bisogna hanno dovuto usare anche il ricavato della vendita di una casa o svincolare risparmi.
Nel Belpaese dove il welfare accompagna i suoi abitanti dalla culla alla tomba, ci sono ormai 44 milioni di «italiani che hanno speso soldi di tasca propria per pagare prestazioni sanitarie per intero o in parte con il ticket». È questo il dato più eclatante che emerge dall’ultimo Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute, presentato il 6 giugno, al Welfare Day 2018: un che finisce per mettere sott’accusa un modello sanitario che non riesce più a reggersi soltanto con un’architettura pubblica.

 

Obiettivo: invertire la tendenza. Ma non sarà facile

 

Non a caso Giulia Grillo, neo ministro della Salute, promette di «invertire la tendenza. È una priorità ineludibile e il Ministero che rappresento nei prossimi mesi elaborerà soluzioni che garantiscano su tutto il territorio nazionale adeguati livelli di assistenza». Ma sarà possibile tornare indietro? Nutre seri dubbi Marco Vecchietti, amministratore delegato di Rbm Salute, secondo il quale, «se non si interviene continuerà ad aumentare le disuguaglianze» tra chi può curarsi pagando e chi non può permetterselo. Per questo non fa fatica a suggerire una soluzione: «Chiediamo al nuovo Governo un riordino della sanità integrativa, ovvero polizze e fondi sanitari, che sia in grado di traghettarla da strumento utilizzato per lo più dai lavoratori dipendenti, quale oggi è, a vero e proprio strumento di welfare sociale, in grado di rispondere al disagio crescente di chi deve indebitarsi per pagare le cure».
Secondo il manager si devono «superare posizioni di retroguardia e attivare subito, come già avvenuto in tutti gli altri grandi Paesi europei, un secondo pilastro anche in sanità che renda disponibile su base universale – quindi a tutti i cittadini – le soluzioni che attualmente molte aziende riservano ai propri dipendenti. In questo modo si potrebbe dimezzare il costo delle cure che oggi schiaccia i redditi familiari, con un risparmio per ciascun cittadino di circa 340 euro all’anno. I soldi per farlo già ci sono, basterebbe recuperarli dalle detrazioni sanitarie che favoriscono solo i redditi più elevati e promuovono il consumismo sanitario. Ci dichiariamo sin d’ora disponibili ad illustrare al nuovo governo la nostra proposta, che può assicurare oltre 20 miliardi di risorse da investire sulla salute di tutti».

 

 

La 13esima di un operaio in cure sanitarie

 

Guardando alla spesa per questo comparto, si scopre come ricorda lo stesso Vecchietti, che «nella top five delle cure, 7 cittadini su 10 hanno acquistato farmaci (per una spesa complessiva di 17 miliardi di euro), 6 cittadini su 10 visite specialistiche (per 7,5 miliardi), 4 su 10 prestazioni odontoiatriche (per 8 miliardi), 5 su 10 prestazioni diagnostiche e analisi di laboratorio (per 3,8 miliardi) e 1 su 10 protesi e presidi (per quasi 1 miliardo), con un esborso medio di 655 euro per cittadino». Con il risultato che «la tredicesima di un operaio se ne va in cure sanitarie per sé e i familiari».
Proprio questo stato di cose, a maggior ragione mentre aumentano le code e liste d’attese, aumenta la disaffezione degli italiani verso il sistema sanitario nazionale. «Il 37,8%  degli italiani prova rabbia verso il Servizio sanitario a causa delle liste d’attese troppo lunghe o i casi di malasanità. Il 26,8 è critico perché, oltre alle tasse, bisogna pagare di tasca propria troppe prestazioni e perché le strutture non sempre funzionano come dovrebbero. Il 17,3 prova invece un senso di protezione e di fronte al rischio di ammalarsi pensa: “meno male che il Servizio sanitario esiste”. Soltanto L’11,8%  si dice soddisfatto.
In quest’ottica 13 milioni di italiani dicono stop alla mobilità sanitaria fuori regione, tanto da lanciare il mantra «ognuno si curi a casa propria», mentre 21 milioni vogliono limitare le prestazioni a pagamento del SSN per le persone con stili di vita nocivi come fumatori o obesi. Sempre il rapporto, non a caso, fa notare che «gli elettori di Lega e 5 Stelle sono i più rancorosi verso il Servizio sanitario: molto ha contato nelle urne, per questo la sanità sarà il vero banco di prova per il nuovo esecutivo».

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