La sanità integrativa allunga la vita

La sanità integrativa allunga la vita

Cure migliori. Maggiori investimenti in prevenzione. E stili di vita sani. La scienza medica continua a fare progressi nel curare i tumori. Merito anche dei piani sanitari di welfare che incidono sul benessere dei lavoratori.

 

I numeri del tumore cominciano a spaventare un po’ meno: ogni anno i malati diminuiscono di circa 2mila unità e aumentano le percentuali di sopravvivenza a cinque anni, periodo-finestra trascorso il quale le persone, una volta guarite, rientrano nelle stesse aspettative di vita di un individuo sano.

 

Lo dice il report recentemente pubblicato dal Ministero della Salute che, con un prudente ottimismo, racconta un trend evidentemente positivo. La letteratura scientifica individua tre fattori fondamentali: il progresso medico-scientifico e l’innovazione nelle cure, a opera dalla ricerca internazionale; gli investimenti in termini di prevenzione, sempre più precoce e raffinata (e la comunicazione a riguardo); la promozione di stili di vita sani, con il sostegno di diversi attori profit e no profit.

 

Tuttavia, esiste un quarto fattore, spesso sottovalutato, che non va invece trascurato. Si tratta dell’accesso alle cure, spesso potenziato dalla sanità di tipo integrativo, sempre più offerta dalle aziende ai propri dipendenti come iniziativa di welfare o, addirittura, prevista dai diversi Contratti collettivi nazionali.

 

Le mutue integrative, un mercato in espansione

 

“Quello delle mutue integrative in campo sanitario è un mercato in forte espansione”, osserva Vito De Giorgi, Direttore delle Risorse Umane del Gruppo Ospedaliero San Donato, oggi il primo gruppo sanitario in Italia, tra i più grandi in Europa e annovera al suo interno ospedali come il San Raffaele di Milano.

 

“Oggi un lavoratore passa più tempo in azienda che in qualunque altro posto”, spiega De Giorgi. “Questo fa sì che la comunicazione che riceve sul luogo di lavoro, anche in termini di prevenzione sanitaria, oltre che di possibilità di cura, diventa fondamentale”.

 

Secondo il manager, la componente salute è “elemento essenziale della conciliazione vita-lavoro”: “Il dipendente sano è più presente sul lavoro, beneficiando, naturalmente, in modo ottimale anche dei propri tempi di vita”. Ecco perché dovrebbe essere il primo interesse delle aziende che i propri lavoratori siano in salute.

 

“Il Gruppo San Donato offre all’esterno gli stessi pacchetti di welfare sanitario che propone ai propri 16mila dipendenti”. Quello del Gruppo è, dunque, un doppio ruolo, svolto sia sul personale interno sia su quello delle aziende convenzionate. Secondo De Giorgi sono tre i fattori che concorrono in maniera determinante al miglioramento della salute dei cittadini: “Il tema si può definire in generale come wellbeing.

 

Esso comprende l’aspetto della prevenzione e cura, già citato; quello dell’alimentazione corretta e dell’accesso all’attività fisica, su cui il Gruppo sviluppa il Progetto Eat (Educazione alimentare per tutti); infine il tema della conciliazione vita-lavoro, che prevede azioni per minimizzare gli effetti dello stress da lavoro”.

 

Queste ultime sono sperimentate in primo luogo proprio all’interno delle strutture del Gruppo, dal momento che il lavoro in ospedale e, in generale, in ambito sanitario sottopone le persone a forti carichi di stress.

 

È opinione del manager, dunque, che il ruolo della sanità privata sul calo dei tumori sia importante: “Rispetto alla sanità pubblica, di cui è complemento, essa offre tempi di attesa più ridotti, pacchetti di prevenzione più articolati, per patologie diverse, ma, soprattutto, garantisce investimenti più alti in termini di ricerca, di macchinari utilizzati, di comunicazione”.

 

Questo comporta una grande fiducia del lavoratore nei confronti del Gruppo. Tramite il proprio ruolo di player all’interno di alcune piattaforme fornite dai provider di welfare aziendale, “Gruppo San Donato garantisce pacchetti anche personalizzati per la tipologia di lavoro o, addirittura, di mansione del dipendente, diventando così, nella quasi totalità dei casi, il servizio di welfare più gettonato all’interno delle piattaforme stesse”.

 

Il ruolo della prevenzione

 

Marco Vianello, Direttore Marketing dell’Istituto Europeo di Oncologia, condivide la forte richiesta di pacchetti di prevenzione, per quanto la letteratura scientifica a riguardo resti controversa. Le aziende tendono ad investire molte risorse in questo campo, “perché può fare la differenza sulla salute delle persone. Diverse aziende si rivolgono allo IEO, soprattutto per la prevenzione oncologica e cardiovascolare, per cui vengono offerti percorsi specifici”.

 

Vianello, dunque, interpreta senz’altro positivamente il ruolo della sanità complementare nello stimolo ad adottare comportamenti e stili di vita sani. Infatti, le aziende e le assicurazioni che operano nel welfare possono efficacemente comunicare l’importanza di ciò, invitando alla prevenzione tramite i propri canali di comunicazione. Chiaramente, i buoni risoltati di cura sono tali se il problema viene individuato per tempo.

 

Rispetto al pubblico, nel settore privato si riscontra “una maggiore libertà di accesso alle misure diagnostiche preventive, anche laddove serva comunque la prescrizione di un medico”. Dunque secondo il Direttore Marketing dell’Istituto Europeo di Oncologia “è verosimile che assicurazioni personali e benefit di welfare aziendale, seppure di poco, possano incidere sui numeri riportati dal Ministero”.

 

Pubblico-privato come modello di efficienza

 

Della stessa idea sono anche Elena Rizzo e Maurizio Savi, rispettivamente Responsabile Marketing &Customer Service Privati e Direttore Marketing del Centro Diagnostico Italiano (CDI). È auspicabile, secondo entrambi, un impegno sempre più incisivo delle aziende nell’offrire pacchetti di prevenzione e cura ai propri dipendenti, perché il welfare aziendale di tipo sanitario rende più vivibile anche l’ambiente di lavoro.

 

Sulla base dell’esperienza di CDI, quelli che vanno per la maggiore sono i pacchetti odontoiatrici, sportivi, di prevenzione dermatologica e, in generale, quelli di prevenzione specifica per genere e per età: “Alle aziende non offriamo mai pacchetti standard, ma ci basiamo sull’archivio storico dei casi e su una raccolta informatizzata di evidenze e fattori di rischio, perché la chiave di successo e di efficacia sta nella differenziazione del prodotto”.

 

Una personalizzazione che esprime l’attenzione di CDI non tanto al paziente, quanto alla persona nel suo complesso: “Non ci interessiamo di una singola patologia, ma ci prendiamo in carico la persona nella sua interezza, occupandoci dell’uomo e della donna in ogni fase, già prima che diventino ‘pazienti’, proponendo, non a caso, un servizio di counseling e un approccio interdisciplinare”.

 

L’offerta dei servizi avviene in modalità B2B, ma anche tramite accordi commerciali con i provider di welfare aziendale: “Osserviamo con soddisfazione un crescente interesse verso il welfare di tipo sanitario, sia da parte delle aziende sia da parte dei sindacati”, osservano gli intervistati, che fanno l’esempio del fondo Metasalute, il quale nasce da un accordo sindacale con le aziende del comparto metalmeccanico e raggiunge una vastissima popolazione. Dunque è probabile che, sui grandi numeri, si possa incidere in maniera davvero significativa sul benessere dei lavoratori in questione”, dicono Rizzo e Savi.

 

Ma la chiave vincente, a loro giudizio, è “la partnership pubblico-privato, come espressa in maniera ottimale dal ‘modello Lombardia’, dove non c’è concorrenza, ma vera complementarità, in cui una è di supporto all’altra: solo così si raggiunge una maggiore coscienza dei problemi legati alla sanità, ottimizzando gli investimenti e gli interventi, con ricadute realmente positive sulla salute dei cittadini”.

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