Salute: al Nord è un diritto, al Sud una speranza
INEQUALITY CONCEPT

Salute: al Nord è un diritto, al Sud una speranza

Nel campo della salute il divario in aumento tra ricchi e poveri ha conseguenze sempre più allarmanti, segnate dall’aumento della mobilità sanitaria e dalla minore prevenzione per i ceti meno abbienti.

 

L’articolo 32 della nostra Costituzione pone la salute come diritto fondamentale di ogni individuo e come interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Per quanto il Sistema sanitario nazionale (Ssn) italiano sia spesso considerato un modello da imitare, le ultime tendenze sul numero di persone che decidono di rinunciare alle cure o che sono costrette a spostarsi per ricevere sostegno medico chiedono una riflessione più ampia.

 

I dati più significativi, secondo recenti ricerche basate sui dati Istat, riguardano la speranza di vita e quella in buona salute. L’Italia si conferma come uno dei Paesi europei con la maggiore aspettativa di vita alla nascita, ma all’interno del territorio le differenze sono notevoli.

 

Siamo di fronte a un Paese a due velocità: da una parte il Nord, dove gli indicatori sono molto vicini ai Paesi più ricchi dell’Unione europea, dall’altra il Sud, dove la situazione è assimilabile a quella dei Paesi dell’Est. Se gli indici della speranza di vita appaiono più o meno equivalenti in tutto il territorio italiano (la stima è di 80,8 anni per gli uomini e di 85,2 anni per le donne), quando si tratta di raggiungere la terza età in soddisfacenti condizioni fisiche, le disuguaglianze territoriali iniziano a farsi notare.

 

La media italiana per la speranza di vita in buona salute alla nascita è di 58,8 anni nel complesso della popolazione (dati Istat); ad alzare notevolmente la media ci sono le province autonome di Bolzano e Trento, dove l’indice si stabilizza tra i 65 e i 68 anni, e regioni come l’Emilia-Romagna (62,3), il Friuli Venezia Giulia (60.6) e la Lombardia (60.5), tutte superiori alla media italiana. Il primato negativo lo detengono invece il Sud e le Isole, in particolar modo la Calabria, la Basilicata e la Sardegna, dove la media scende intorno ai 55 anni.

 

Ma le differenze territoriali non si limitano a questo indicatore. Il dato più allarmante, infatti, è quello relativo alla rinuncia alle cure: secondo le ricerche, la percentuale è del 48,8% al Sud e nelle Isole, contro l’11,3% del Nord Est, il 18,5% del Nord Ovest e il 21,4% del Centro Italia. Ma quali sono le prestazioni sanitarie di cui si fa a meno più di frequente? Al primo posto troviamo quelle odontoiatriche (23% dei casi), seguite da quelle specialistiche (20,7%), dalla prevenzione (15,6%) e dalla diagnostica (12,3%).

 

Aumenta la mobilità sanitaria

 

A caratterizzare il nostro Paese sono però le disuguaglianze tra Nord e Sud, aumentate per quanto riguarda sia gli indici di buona salute sia quelli di cronicità e sopravvivenza. Tutto questo si traduce anche in un incremento della mobilità sanitaria, che riguarda nel 41% dei casi le patologie oncologiche, nel 27% le malattie croniche, nel 25% quelle cardiovascolari e nel 7% le gravi patologie neonatali. Questa migrazione si dirige soprattutto verso la Lombardia (2,98% dei casi), l’Emilia Romagna (2,42%) e la Toscana (2,14%).

 

Tra le regioni che presentano un saldo negativo in questo senso, ovvero che hanno più pazienti in uscita rispetto a quelli in entrata, ci sono anche regioni del Centro Italia, come il Lazio, l’Abruzzo e le Marche.

 

In generale i migranti della salute che si spostano da Sud e Isole verso Nord sono 345mila, mentre quelli che dal Meridione vanno al centro sono 315mila (dati 2018). Le motivazioni che li spingono a muoversi sono nel 52% relative alla qualità delle cure, nel 31% alle liste d’attesa e nel 17% dei casi riguardano altri motivi di natura logistica.

 

Ovviamente decidere di recarsi in un’altra regione per essere sottoposti a cure richiede un notevole investimento economico, sia per i pazienti sia per i loro accompagnatori. Nel caso di malati oncologici la spesa totale nel 2018 ha superato i 2 milioni di euro; per le patologie cardiovascolari si è arrivati a circa 1,3 milioni di euro; per quelle croniche a 1,1 milioni e per quelle neonatali gravi a 345mila.

 

Un costo notevole che impatta sia sui pazienti sia sulle regioni del Sud, che finiscono con il rimborsare prestazioni mediche a cui i propri abitanti si sottopongono altrove e perdono l’importante sfida di poter investire sul proprio territorio per attirare nuovi talenti e migliorare le strutture ospedaliere.

 

La prevenzione è una cosa da ricchi

 

Un’altra differenza notevole nell’ambito del diritto alla salute è quella relativa alla frequenza del ricorso alla prevenzione. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità e dei Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia (Prassi), a Nord Est l’85,2% delle donne adulte ricorrono a mammografia; segue il Nord Ovest con l’81,9% e il Centro con l’80,7%; a distanza di parecchi punti il Sud e le Isole, con il 66,3%.

 

Tendenze analoghe si registrano in caso di prevenzione del tumore al colon-retto; si sottopone a controlli il 70% dei chiamati in causa (adulti tra i 31 e i 60 anni e anziani over 60) nel Nord Est, seguiti dal 64,8% del Nord Ovest e dal 56,4% del Centro. Sud e Isole si fermano al 32,9%.

 

I dati ci dicono anche che la prevenzione è strettamente connessa al reddito; più questo sale, più ci si sottopone a mammografie e controlli colon-rettali. Anche quando ci troviamo di fronte di un sistema che finanzia a costo zero la prevenzione, garantendo screening gratuiti per il tumore al seno e il tumore al colon-retto, nella maggior parte dei casi ad accedere al servizio sono persone con redditi più elevati, mentre i redditi più bassi rinunciano con maggiore frequenza.

 

Le medesime persone, però, non hanno possibilità di accedere alle cure private e questo tende a renderle più esposte a malattie croniche. Anche in questo caso l’intervento complementare della sanità integrativa potrebbe rivelarsi di grande aiuto per le fasce di popolazioni meno abbienti, garantendo un diritto alla salute più completo e accessibile a tutti.

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