La fabbrica come luogo della comunità

La fabbrica come luogo della comunità

Lo sviluppo economico, per essere solido, deve guardare all’impatto sociale. L’azienda intesa come progetto di vita affonda le radici nelle relazioni e nelle opportunità offerte dal territorio. Recuperando la lezione di Olivetti, il territorio diventa una “metafabbrica” che crea valore in un’economia sempre più circolare.

 

 

L’impresa è un progetto di vita. Ha esordito così Federico Della Puppa, Responsabile Area Economia&Territorio di Smart Land, il cui intervento ha aperto il convegno Wellfeel di Padova di fine gennaio 2020, di cui Tuttowelfare.info è stato media partner.

 

Il ragionamento da cui è partito è che lo sviluppo economico e industriale, per essere solido e avere orizzonti concreti nel medio-lungo termine, deve guardare sempre più agli impatti non solo ambientali ed economici, quanto a quelli sociali che genera. In sintesi, significa rinnovare il rapporto tra la produzione e il territorio, che genera valore anche identitario.

 

L’azienda, il cui fine ultimo è il profitto ricerca la massimizzazione della differenza tra ricavi e costi, riduce l’organizzazione produttiva, il reclutamento e la gestione della forza lavoro e i contatti con l’ambiente esterno a una rilevanza del tutto strumentale. L’obiettivo, dunque, è far sì che lo scarto tra le entrate e i costi aziendali sia (il più possibile) positivo. L’esatto contrario di questa tipologia di imprese è l’azienda come progetto di vita.

 

Di cosa si tratta? È quell’impresa che nasce per opera di un individuo (o di un gruppo di persone) che si impegna in un progetto il cui esito potrebbe essere incerto: vuol dire che non si sviluppa da un capitale che aspira ad accrescere, bensì da un ingranaggio che affonda le sue basi nelle relazioni sociali e nelle opportunità che offre il territorio. A essere investito nell’impresa non è semplicemente il denaro, ma la reputazione stessa dell’imprenditore e le sue relazioni con gli altri che si è costruito nel tempo con la comunità. È questo il suo capitale.

 

A livello economico, è il passaggio dall’economia del singolo alla società delle relazioni. È uno scenario nel quale non c’è più – per forza – il dominio dell’economia lineare. Il modello alternativo è dunque l’economia circolare. Ed è un cambiamento che sta avvenendo di pari passo con quella che Della Puppa ha definito come la “metamorfosi profonda dei riferimenti” (fabbrica, territorio, oggetti e persone) che ci ha proiettati dal fordismo alla sharing economy. D’altra parte, la crisi economica che abbiamo affrontato (stiamo affrontando?) è stata una crisi di sistema gestita puntando principalmente sugli strumenti tecnologici. Ma, probabilmente, la tecnologia non è sufficiente a gestire i nuovi grandi cambiamenti. L’interrogativo che deve guidarci riguarda il nuovo ruolo della fabbrica.

 

Lo stretto legame con il territorio

 

Storicamente la fabbrica era associabile all’intero paese dove si sviluppava. Senza riferirci sempre alle città di fondazione (i nuclei urbani che sorgevano intorno alle fabbriche per offrire vari servizi ai lavoratori), la storia del paese si legava inevitabilmente allo sviluppo dell’impresa, e alle vicende di persone, luoghi e relazioni. È in questa direzione che, secondo Della Puppa, si può offrire una nuova via evolutiva delle aziende. Il territorio, infatti, diventa una “metafabbrica”, perché le fabbriche non usano solo le risorse del luogo (si pensi alla produzione di energia o al raffreddamento degli impianti), ma diventano elementi strutturanti della geografia dei luoghi, delle persone e delle comunità.

 

L’Italia di inizio Novecento ben si conciliava con questo paradigma, perché aveva un’organizzazione del territorio secondo cui c’era un rapporto inscindibile tra luogo produttivo e luogo abitato, tra tempi della produzione e tempi di riposo, tra spazi di lavoro e spazi di cultura. La ‘separazione’ urbanistica che ha diviso i luoghi dell’abitare da quelli della produzione e dagli altri per il tempo libero è un retaggio del Dopoguerra applicato sia dalle metropoli sia dai piccoli centri. Il limite di questo modello è l’aver concentrato l’attenzione sul valore economico dei luoghi e sulla possibilità di un loro sfruttamento.

 

Questa logica ha resistito fino alla recente crisi, che ne ha messo in evidenza i limiti, arrivando a spostare l’attenzione dal materiale all’immateriale, dal fisico al digitale. Alla base della trasformazione è la crisi che ha trovato nel digitale uno strumento di disintermediazione, capace di interpretare la necessità di svincolarsi dal confronto con i vari corpi intermedi. Seguendo questo ragionamento, ci si domanda se vale ancora oggi la definizione di cittadini usata nel passato e se i collaboratori possono essere considerati solo in termini di “risorse umane”.

 

Dall’economia circolare alla circular society

 

Una possibile risposta si rifà alla ‘lezione’ del sempreverde Adriano Olivetti e alla sua idea di fabbrica come territorio sociale e luogo di comunità. “La fabbrica è luogo dove c’è giustizia e domina il progresso, dove si fa luce la bellezza, e l’amore, la carità e la tolleranza sono nomi e voci non prive di senso”, diceva Olivetti, interpretando il ruolo di intermediazione sociale nello sviluppo economico e sociale. Dunque, la fabbrica era da intendersi come un sistema di inclusione.

 

Oggi il pensiero ‘rivoluzionario’ di Olivetti è tornato attuale –non è mai stato realizzato nel suo complesso – proprio perché coerente con l’idea della metafabbrica, considerato come un luogo innestato nel suo territorio, dal quale trae le risorse primarie (il lavoro) per produrre profitto. Che cosa restituisce in cambio? Non solo posti di lavoro, ma welfare e nuove relazioni tra luoghi e persone.

 

La nuova sfida è quindi chiedersi che cosa chiede e offre il territorio e quale ruolo sociale può rivestire la fabbrica per costruire valore sociale nella sua area geografica. Il valore è sempre più una parola chiave, perché è su esso che si fonda il concetto di reputazione e di appartenenza: se percepiamo valore poniamo attenzione, ci mettiamo in ascolto e in relazione, perché comprendiamo che quel valore può entrare nella nostra vita di lavoratori e imprenditori.

 

È qui che si può arrivare a parlare di circolarità, perché, come dice Della Puppa, non è l’economia a dover diventare circolare, ma il territorio e la sua società che non sono più corpi separati. Non è più cruciale il che cosa produco, ma il come, dove, con chi e per chi lo faccio. E quali relazioni instauro. Più welfare di così…

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