L’evoluzione storica del welfare aziendale
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L’evoluzione storica del welfare aziendale

La materia del welfare aziendale è in continua evoluzione. In particolare rispetto agli aggiornamenti normativi. Ma oltre alle leggi che lo regolano, è utile conoscerne l’evoluzione storica che dal paternalismo ottocentesco l’ha trasformato in una leva per la gestione del personale.

 

Il welfare aziendale è oggi materia molto discussa e in continuo aggiornamento. Che si parli di benessere, di una nuova conciliazione vita-lavoro, di welfare aziendale o secondario, ciò che resta fondamentale e di primaria necessità è la serenità dei dipendenti sul luogo di lavoro con l’obiettivo di migliorare le performance dell’impresa.

 

In quest’ottica sono note le leggi che rendono possibile agire sulla leva del benessere per potenziare i risultati dei singoli e dunque delle organizzazioni. Meno noto è, invece, il percorso del welfare per arrivare a essere ciò che oggi conosciamo. Ecco una breve trattazione sull’evoluzione storico-normativa del welfare aziendale.

 

Le origini del paternalismo ottocentesco

 

Le prime forme di welfare aziendale italiano sono conosciute come esperimenti di ‘paternalismo’, un fenomeno sviluppatosi nell’Ottocento in tutta Europa con l’obiettivo di formare e rinnovare la forza lavoro per rendere proficuo il processo produttivo. Nella fase preunitaria, le aziende italiane erano caratterizzate dalla presenza di operai per periodi di tempo molto limitati, dalla prevalenza in fabbrica di donne e bambini che percepivano bassi salari.

 

La necessità di ottenere una manodopera più stabile e fidelizzata era espressa in poche realtà aziendali, tra cui la manifattura di Doccia del marchese Ginori. La rinomata fabbrica di porcellane Ginori attuava un modello di paternalismo avanzato garantendo ai suoi dipendenti alloggi, uno spaccio alimentare, vari corsi di formazione e disegno tecnico e una scuola elementare.

 

Fatta eccezione per i pochi casi si può comunque affermare che, nell’Italia pre e post unitaria, gli interventi restavano davvero limitati. Gli ultimi 30 anni dell’Ottocento hanno rappresentato il periodo della creazione di regolamenti di fabbrica che avevano lo scopo di incentivare la lealtà e la collaborazione.

 

I traguardi e le difficoltà del Novecento

 

Nel periodo compreso tra i primi anni del Novecento e la Seconda Guerra mondiale l’obiettivo degli imprenditori era, oltre la fidelizzazione, la trasformazione del settore secondario da industria semplice a industria pesante con traguardi di produzione molto ambiziosi.

 

Il Primo Conflitto mondiale aveva indotto l’industria italiana a un maggiore sforzo nella produzione, ma non aveva creato nuovi spunti nella gestione e nell’organizzazione del personale. Con l’avvento del regime il fascista era sorta la volontà di eliminare la contrapposizione tra capitale e lavoro e ciò perché sia lo Stato sia le imprese avevano la necessità di avere il consenso delle masse. Le decisioni manageriali restavano sempre a capo dell’imprenditore, il regime si occupava invece della creazione dello Stato sociale e si generava una forte coesione tra le due parti.

 

Negli anni intercorsi tra l’inizio della Seconda Guerra mondiale e la fine degli scontri armati, alcuni imprenditori italiani spiccavano per le loro intuizioni innovative. Un imprenditore che riusciva a fare la differenza in quegli anni era Adriano Olivetti, ingegnere di grande livello a capo della prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere.

Con Olivetti si compirono veri passi avanti per il benessere aziendale che aveva ricadute sul territorio limitrofo: sorsero a ridosso degli stabilimenti Olivetti asili nido e colonie estive, vennero potenziati i servizi sanitari e ogni sede fu dotata di una mensa, un ambulatorio e una infermeria. Per ciò che riguardava la situazione statale, durante il periodo del Secondo Dopoguerra in Italia si registrò un rafforzamento dell’attore pubblico e a un forte contesto di interazione tra il pubblico e il privato.

 

Dopo il boom economico e 30 anni di continua crescita, gli Anni 70 sancirono l’inizio di una nuova fase di profonda crisi economica, in cui tutto il welfare state venne messo in discussione e, di conseguenza, anche l’intero welfare aziendale. I bisogni sociali primari aumentarono, lasciando poco spazio a quelli di natura secondaria: le priorità vennero quindi ribilanciate. La previdenza sociale subì un grande calo di attenzione e fondi pubblici, gli imprenditori non riuscivano a sobbarcarsi di tutte le spese: erano in atto la crisi del welfare statale ed aziendale.

 

Questa fase di crisi (che con il tempo si tramutò in recessione) venne fronteggiata con l’implemento dello sviluppo del cosiddetto ‘secondo welfare’, ovvero un insieme di fondazioni, associazioni, organizzazioni sindacali, imprese che utilizzavano risorse non pubbliche per integrare e assistere il primo welfare, cioè quello effettivamente sviluppato grazie ai fondi statali. Non si trattava dunque di abolire l’intervento pubblico in materia di benessere aziendale, ma semplicemente di implementarlo, di renderlo più efficace in termini qualitativi e quantitativi.

 

Verso una nuova stagione del welfare aziendale

 

Il 22 dicembre 1986 è stata una data che ha segnato la prima reale svolta normativa a livello nazionale del welfare aziendale e ciò è avvenuto grazie all’introduzione del Dpr 917, ovvero il Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Il Tuir si occupa di disciplinare gli strumenti di welfare attraverso le disposizioni inerenti le erogazioni collaterali alla retribuzione, ovvero i cosiddetti fringe benefit.

 

Il periodo a cavallo tra la metà del Novecento e l’inizio degli anni Duemila è stato caratterizzato dalla presenza di alcune aziende italiane che hanno deciso di destinare una buona parte delle loro risorse interne nella valorizzazione delle risorse umane, in particolare nel welfare.

 

Un’azienda che merita particolare attenzione è senza dubbio Luxottica, impresa nata negli Anni 60 che si occupa della produzione di occhiali. Da menzionare è sicuramente il Protocollo di impresa del 2009, in cui l’azienda propone alle organizzazioni sindacali la creazione di un programma di welfare aziendale e misure di conciliazione vita lavoro destinate ai circa 7mila dipendenti.
Luxottica ha poi fatto ‘storia’ e si sono moltiplicate le aziende che ne hanno seguito l’esempio, in particolare le multinazionali e successivamente anche le imprese medie e le PMI, soprattutto per merito delle novità normative contenute nelle leggi di Stabilità che hanno rivoluzionato il welfare dal 2016 in avanti.

 

Come visto – anche se di certo non in modo totalmente esaustivo – i passi avanti compiuti dall’Ottocento a oggi in tema di benessere aziendale sono stati molti e hanno richiesto non pochi sforzi da parte degli imprenditori e dello Stato. Ciò che è chiaro è che, ormai, il welfare aziendale è materia indispensabile per la buona riuscita del lavoro e per il miglioramento della vita dei dipendenti. Resta così la curiosità di conoscere i prossimi sviluppi in materia e gli spunti che renderanno il futuro benessere aziendale ancora più innovativo e stimolante per i lavoratori e per le imprese.

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