South Working: un’opportunità per lavoratori e territorio

South Working: un’opportunità per lavoratori e territorio

Tra le tante conseguenze dalla pandemia, una delle più inaspettate è stata la diffusione del “South working”. Moltissimi lavoratori hanno deciso di portare alle estreme conseguenze il concetto di smartworking, lasciare le città del nord e trasferirsi nel Mezzogiorno, spesso per tornare alla propria terra d’origine, in altri casi per allontanarsi dalla vita frenetica e costosa delle città del nord Italia. Organizzare questo flusso di persone non è semplice, e c’è chi ha pensato di mettersi al servizio di quelli che hanno scelto questo percorso di vita, come Elena Militello, siciliana tornata a casa nel marzo 2020 e Fondatrice e Presidente di “South Working-Lavorare dal Sud®”.

 

Nata durante il primo lockdown nel marzo 2020, oggi la fondazione raccoglie più di 2.000 lavoratori registrati sul sito southworking.org; può vantare più di 230 presidi di comunità che operano come spazi di lavoro condiviso da cui i South Worker possono lavorare; più di 50 aziende che permettono il South Working e che condividono un protocollo o una lettera di intenti con l’Associazione, a cui South Working ha somministrato questionari o campagne di registrazione per i lavoratori; circa 20 aziende che si sono costituite dopo il lancio del progetto South Working e da cui hanno tratto ispirazione per lo svolgimento delle loro attività aziendali.

 

1. Che cos’è il progetto South Working-Lavorare al Sud? E da dove nasce?

 

L’obiettivo principale del progetto South Working® è quello di diffondere l’idea e il movimento di opinione per l’accettazione di modalità lavorative innovative di lavoro agile dal Sud e dalle Aree Interne del Paese. Abbiamo anche un Osservatorio per lo studio del fenomeno e un obiettivo di creazione di reti tra soggetti interessati, lavoratori, aziende ed enti locali, cui in particolare richiediamo tre prerequisiti: una buona connessione a Internet, un efficiente collegamento a un aeroporto o a una stazione tav, la presenza di almeno un presidio di comunità (ovvero uno spazio di lavoro condiviso da cui lavorare rispettando le esigenze di socialità e in cui incontrarsi e incontrare anche le comunità locali).
Nella generazione di giovani più fortunati, lavoratori e ormai altamente formati (tra i 30 e i 40 anni) vediamo ogni giorno il desiderio di un nuovo bilanciamento delle priorità in cui si dà valore anche alle proprie reti familiari e sociali e alle condizioni di Smart Working offerte dal proprio datore di lavoro nello scegliere i propri avanzamenti di carriera.

 

2. I vantaggi per i lavoratori sono evidenti, quali sono quelli per le aziende?

 

Le aziende e i datori di lavoro potrebbero godere di considerevoli risparmi in termini di affitti e spese connesse alle necessità di convogliare in un unico luogo un numero considerevole di dipendenti. Esistono già studi di scienza dell’amministrazione che sottolineano i potenziali vantaggi del lavoro a distanza per obiettivi per il datore di lavoro, in termini di incremento di produttività, miglioramento delle competenze digitali dei lavoratori e della loro motivazione, riduzione degli straordinari e dei fenomeni di assenteismo, ottimizzazione dei costi, miglioramento della reputazione anche a livello di responsabilità sociale d’impresa (CSR).

 

3. Chi ha scelto il South Working aveva bisogno di infrastrutture pronte (pensiamo ad esempio a internet) e servizi. I territori erano pronti a tutto questo?

 

Con South Working abbiamo cambiato la narrazione e proposto un rovesciamento del tradizionale modello di sviluppo con cui siamo cresciuti: invece di far prevalere la lamentela per servizi e infrastrutture inefficienti che allontanano gli imprenditori, noi siamo partiti dall’altro lato, da quei lavoratori e quelle lavoratrici che andando via avevano trovato una loro strada e una loro professionalità mantenendo un legame forte con la loro terra, tale per cui, quando gliene è stata data la possibilità tramite lo Smart Working, sono tornate qui nel Sud Italia, nelle aree interne. Tramite loro è possibile attrarre nuove aziende, o aziende del nord che aprono sedi al Sud, startup innovative che mettono a frutto i talenti scovati altrove, cooperative che danno vita a nuovi spazi di coworking, nuove gruppi informali, associazioni di volontariato o enti del terzo settore. Questa presenza sui territori di giovani rappresenta una linfa nuova per le realtà locali, una nuova partecipazione democratica anche al miglioramento di servizi e infrastrutture.

 

4. Qualche esempio concreto?

 

 

Pensiamo ad esempio al progetto Palermo 4.0, un percorso formativo che ha coinvolto più di 60 studenti di 3 diversi Istituti Professionali palermitani, culminato nell’attivazione di 8 tirocini retribuiti in aziende locali affiancando soggetti apicali nell’organizzazione (sui temi del coding, dell’energia sostenibile, del digitale nelle costruzioni). O come è avvenuto per il recupero di beni storico-monumentali prima inutilizzati o sottoutilizzati come biblioteche, castelli o monasteri, che gruppi di giovani South Worker hanno trasformato in presidi di comunità aperti a tutti: una grande comunità che abbiamo cercato di raccogliere nella “rete del south working”, una mappatura partecipata delle più di 230 realtà aperte a questa innovazione, trasversale ma “politica” nel senso più alto del termine.

 

5. Molti enti locali hanno previsto incentivi di natura economica per chi decide di trasferirsi, oggi la situazione è ancora così?

 

Il ventaglio di possibilità di incentivi economici al trasferimento in territori a rischio di spopolamento è variegato, dalle iniziative di marketing territoriale, a quelle delle “case a un euro”, finanche a incentivi monetari per chi sposti la residenza.
Moltissimi enti locali, Comuni e sindaci, hanno colto l’opportunità rappresentata dal South Working e hanno iniziato a lavorare per migliorare la loro connessione a Internet e i loro presidi di comunità. Allo stabilizzarsi del fenomeno dopo l’emergenza, corrisponde anche una sempre migliore preparazione dei Comuni.

 

6. Quali sono le attività principali dell’associazione?

 

L’Associazione ha ideato una serie di attività a supporto di lavoratrici e lavoratori che consistono nell’approfondimento di questioni che riguardano il lavoro da remoto, con l’obiettivo di fornire una risposta qualificata a tematiche ancora poco affrontate, grazie all’apporto dell’ampia rete di professionisti altamente qualificati che aderiscono al progetto South Working. A tale riguardo, una prima iniziativa è quella di SW Roundtable, un ciclo di incontri in modalità webinar, in cui i professionisti ospiti approfondiscono temi specifici, come ad esempio la fiscalità internazionale o questioni di natura giuslavoristica. Una seconda iniziativa prevede la predisposizione di alcune FAQ da inserire sul sito web dell’Associazione: si tratta di domande relative a diverse aree tematiche, affidate a professionisti dei relativi settori. Le domande, raccolte tra i south worker membri delle community e i canali social dell’Associazione, sono state sottoposte ai professionisti incaricati che stanno elaborando le risposte da caricare sul sito dell’Associazione e da diffondere attraverso i canali ufficiali.

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