Formare le aziende e il territorio al welfare aziendale a filiera corta

Formare le aziende e il territorio al welfare aziendale a filiera corta

Recentemente si è iniziato a discutere di welfare aziendale a filiera corta, cioè l’approccio fortemente legato al territorio, capace di mettere a sistema le risorse locali e innescare circoli virtuosi di sviluppo

 

Nella drammaticità della pandemia da Covid-19, tralasciando gli impatti devastanti, i singoli individui, le organizzazioni e le istituzioni hanno riflettuto a fondo sull’organizzazione del lavoro e sulla relazione tra lavoro, diritti e benessere individuale. Anche i dati rivelano che le persone, proprio a seguito dell’emergenza sanitaria, hanno focalizzato l’attenzione proprio sulla qualità della vita, sul valore del tempo libero e sulla conciliazione tra vita professionale e vita privata. E molti, grazie a queste riflessioni, hanno fatto scelte importanti e a volte addirittura ‘rivoluzionarie’ in nome della salvaguardia del proprio benessere, come dimostrano i dati sul nostro Paese.

 

In Italia, secondo una ricerca di Francesco Armillei (ricercatore alla London School of Economics e socio di Tortuga, il primo think tank italiano di studenti, ricercatori e professionisti del mondo dell’economia e delle scienze sociali), tra aprile e giugno del 2021 ci sono state 484mila dimissioni su un totale di 2,5 milioni di cessazioni di contratti di lavoro. L’ondata di dimissioni non ha colpito solo l’Italia, ma anche gli Stati Uniti; si chiama “quit rate” il tasso di chi rinuncia al posto di lavoro e dà l’idea del fenomeno: Oltreoceano è salito del 2,5%, tanto da meritarsi l’etichetta di “great resignation” (letteralmente “grande dimissione”).

 

Gli studiosi indicano che i motivi delle dimissioni siano tutti riconducibili al desiderio delle persone di migliorare la propria qualità della vita e non solo dal punto di vista strettamente economico, ma anche rispetto ad altri fattori quali la valorizzazione delle proprie competenze, il riconoscimento e la cura del proprio talento, il rispetto del tempo della vita privata, la minor quantità di stress, la possibilità di vivere in mezzo alla natura ed evitare il traffico cittadino, le migliori relazioni con i colleghi, il rispetto per il diritto di crearsi una famiglia…

 

Quando si parla di questi argomenti, il collegamento con il welfare aziendale è immediato, perché sono proprio i beni e i servizi che le imprese mettono a disposizione dei propri dipendenti per accrescerne la salute e il benessere che possono aiutare le persone a dare risposta ai nuovi bisogni, potenziandone anche la capacità produttiva. Recentemente si è iniziato a discutere di welfare aziendale a filiera corta, cioè l’approccio fortemente legato al territorio, capace di mettere a sistema le risorse locali e innescare circoli virtuosi di sviluppo e di collaborazioni tra enti territoriali capaci di ‘allargare’ i perimetri delle singole imprese.

 

Un progetto concreto di welfare aziendale a filiera corta

 

Di welfare aziendale a filiera corta, però, non se ne parla soltanto; esistono analisi e studi che ne offrono concretezza. Uno di questi è quello sviluppato dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena (Fmps), realtà che ha come mission proprio la proposta di iniziative che promuovono lo sviluppo socio-economico dei territori e delle comunità in una prospettiva di benessere diffuso e sostenibile, e da Secondo welfare, il laboratorio di ricerca sul welfare aziendale. La ricerca – che ha coinvolto 38 cooperative sociali e i cui risultati sono stati pubblicati a inizio febbraio 2021 – aveva l’obiettivo di esplorare lo sviluppo del welfare aziendale in provincia di Siena e le sue possibili evoluzioni, in particolare la questione della filiera corta.

 

Lo studio – curato per Secondo welfare da Franca Maino, Federico Razetti  e Valentino Santoni – ha permesso di evidenziare che alcune grandi imprese hanno implementato un welfare aziendale articolato, che sono stati avviati lavori di co-progettazione tra associazioni datoriali e banche e che il terziario è molto attivo, ma che la diffusione capillare delle strategie di benessere per i dipendenti sono ostacolate dalla frammentazione del tessuto produttivo, dalla forte specializzazione nei settori dell’agroalimentare e del commercio e soprattutto da un’arretratezza di tipo culturale sul tema da parte di imprenditori e lavoratori.

 

Per i curatori della ricerca ci sono già nel tessuto economico locale delle potenziali soluzioni agli ostacoli evidenziati: gli enti del Terzo settore (in particolare le imprese sociali) possono, infatti, incentivare modelli a filiera corta, ma non senza un lavoro propedeutico di tipo culturale che educhi all’innovazione. Un altro fattore di sostegno importante al welfare aziendale a filiera corta è, chiaramente, quello economico, che deve provenire da fondi europei, nazionali e regionali e, dunque, che richiede un grande supporto culturale e pratico da parte delle istituzioni.

 

Per sopperire a tutte le lacune esistenti e per creare davvero una svolta culturale e strutturale nell’ambito del welfare aziendale, Fmps ha deciso di promuovere un percorso di formazione e accompagnamento rivolto al Terzo settore, condotto da Secondo welfare e con la partecipazione dei principali stakeholder della provincia di Siena: si tratta di un punto di partenza per migliorare la diffusione del welfare aziendale, in linea anche con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che tra i vari obiettivi punta proprio al miglioramento della vita delle persone (anche in quanto lavoratori).

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