La responsabilità (sociale e ambientale) fa l’azienda sostenibile

La responsabilità (sociale e ambientale) fa l’azienda sostenibile

Perché sia efficace, occorre che la ‘battaglia’ per la transizione ecologica sia condivisa in particolare dai manager a capo delle organizzazioni. Per esempio con un Green job bonus

 

La scelta del Governo Draghi, che alla materia ha voluto riservare addirittura un Ministero dedicato, non fa che confermare ciò che tutti i dati finanziari evidenziavano già da tempo: la transizione ecologica è un fattore competitivo decisivo. Ancor prima di considerare l’orizzonte dell’intero Paese, parlano i numeri delle imprese: la differenza di performance tra aziende che considerano l’impatto dei combustibili fossili e altre che li ignorano è quasi del 100%. Perché sia efficace, però, occorre che la ‘battaglia’ per la transizione ecologica sia condivisa in particolare dai manager a capo di quelle organizzazioni. A cominciare… dalla loro busta paga.

 

A dirlo è uno studio condotto dall’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, che ha analizzato il ruolo dei criteri di attribuzione di bonus e incentivi ai manager delle maggiori imprese. “La letteratura finanziaria spiega che quando gli incentivi sui profitti e il valore delle azioni non dipendono da indicatori di responsabilità sociale e ambientale c’è il rischio che i manager si limitino a estrarre valore dall’azienda invece che crearlo”, ha spiegato Leonardo Becchetti, Ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, intervenuto sul tema durante un incontro organizzato dal Cnel dal titolo Green job bonus: una novità verso la sostenibilità ambientale delle imprese. “Se la produttività non cresce, l’unico incentivo del manager il cui bonus dipende solo dal profitto sarà aumentare la propria fetta di profitto, riducendo quelle degli altri portatori di interesse”, ha aggiunto.

 

Allineare gli incentivi all’obiettivo ambientale

 

La tesi di Becchetti è che non sia possibile procedere verso gli obiettivi della transizione ecologica – ridurre del 50% delle emissioni entro il 2030 e risolvere il problema delle polveri sottili nelle città, per citarne soltanto due – se all’interno delle imprese gli incentivi vanno nella direzione opposta. Al contrario, strutturare un nuovo modello di incentivazione potrebbe aiutare le aziende a monitorare i propri progressi verso la sostenibilità.

 

Alcune importanti organizzazioni stanno già adottando criteri simili. Per la verità avviene soprattutto all’estero, dove sta maturando una diversa sensibilità sul tema ambientale; sempre più spesso sono gli stessi fondi di investimento a votare contro le decisioni sulle remunerazioni dei manager in assenza di indicazioni sulla responsabilità sociale e la sostenibilità.

 

Per esempio superare la logica fossil fuel e investire sulle energie rinnovabili conviene e i numeri lo confermano. Basti guardare il confronto tra il valore di mercato di Enel e di Eni nel 2016 e nel 2020, dopo aver fatto scelte diametralmente opposte proprio sul tema energetico: la prima è passata da 39 a 76 miliardi, la seconda da 48 a 24 miliardi.

 

Meno tasse per chi inquina meno il Pianeta

 

Lo studio di Tor Vergata parte dalla tassonomia individuata dall’Unione europea per valutare l’ammissibilità dei progetti al piano Next Generation Eu. L’Ue subordina il via libera di ciascun progetto alla condizione che questo migliori almeno uno degli indicatori individuati: mitigazione dei cambiamenti climatici; uso sostenibile dell’acqua; economia circolare; prevenzione dell’inquinamento; salute degli ecosistemi. Indicatori riconosciuti anche da una recente delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), secondo cui gli investimenti che fanno fare progressi in questi campi hanno diritto ad avere delle agevolazioni. “Con questo lavoro diamo corpo a questa idea e abbiamo costruito gli indicatori per misurare questi domini”, ha detto Becchetti.

 

Ma cosa può fare il Legislatore tributario per incoraggiare un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale? “Le norme devono differenziare e avere vita più lunga: chi non inquina o inquina di meno deve poter pagare meno imposte, perché concorre alla riduzione delle spese pubbliche necessarie per tutelare l’ambiente”, ha detto Valerio Ficari, Professore Ordinario di Diritto Tributario all’Università di Roma Tor Vergata, che si è occupato degli aspetti tributari dello studio.

 

“La tutela dell’ambiente richiede investimenti e gli investimenti richiedono tributi: le attività economiche che hanno un impatto ambientale creano maggiori spese pubbliche e quindi un maggior fabbisogno di tributi”. Si tratta, dunque, di affermare un principio, come già accaduto per voucher, buoni acquisto e fringe benefit: l’idea cioè che una parte della retribuzione sia legata a un presupposto diverso. Che non è più soltanto la produttività, ma può diventare anche l’impegno per un’azienda più sostenibile e attenta all’ambiente.

About the Author /

giorgia.pacino@tuttowelfare.it