Più Neet nei piani welfare

Più Neet nei piani welfare

Non solo benefit. Quando si parla di welfare le aziende devono avere un ruolo più attivo anche sul fronte delle problematiche legate al mondo del lavoro giovanile e dei Neet in particolare. Per ridare fiducia a una generazione che ha smesso di pensare al futuro.  Come hanno saputo fare già Google, Unioncamere e Fondazione Cariplo.

 

 

Quando si parla di welfare, nella maggior parte dei casi si pensa ai pacchetti di benefit che le aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti. Oppure ai servizi sociali offerti alla collettività dalle pubbliche amministrazioni. Ma esiste anche un’altra forma di welfare, decisamente meno nota. Si tratta delle azioni virtuose attraverso le quali si cerca di affrontare il boom dei Neet, ovvero dei giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, i cosiddetti Not in education, employment or training.
Nel nostro Paese il numero di questi ragazzi fra 15 e 29 anni è cresciuto a dismisura, fino a toccare quota 24,1% nel 2017, contro la media Ue scesa al 13,4%.
Proprio a questi cittadini si rivolgono alcune nuove forme di welfare. Il numero dei progetti attualmente attivi nel nostro Paese è molto limitato rispetto a quello che accade all’estero e soprattutto rispetto alle reali necessità. Ma qualcosa si sta muovendo. «Bisognerebbe senza dubbio incentivare un welfare che favorisca la transizione scuola-occupazione. In particolare è necessario sviluppare centri per l’impiego e servizi per il lavoro che consentano ai giovani che hanno già finito il percorso formativo di capire cosa offra il territorio, quali siano le competenze più richieste e in che modo crescere per cogliere tutte le opportunità», spiega Alessandro Rosina, esperto di neet e docente all’università Cattolica di Milano.

 

Neet, in nessuna regione la media è più bassa di quella Ue

 

Al momento nel nostro Paese le politiche attive per il lavoro sono ancora molto deboli, e questo fa sì che molti giovani si perdano nel passaggio fra scuola e mondo del lavoro. «Invece dovrebbero favorire l’incontro fra domanda e offerta, inserendo i Neet in seri percorsi di riqualificazione», prosegue Rosina. «Al momento gli strumenti di politiche attive per il lavoro in Italia non sono solo deboli, ma anche troppo differenziate sul territorio», va avanti il docente. «Sono più sviluppate al Nord, dove il tasso nei Neet è più basso, e molto carenti al Sud, dove il numero di questi ragazzi è molto elevato. Bisogna però mettere in evidenza che, a parte la provincia autonoma di Bolzano, nessuna Regione italiana ha una percentuale di Neet più bassa della media europea». E questo determina un paradosso: da una parte ci sono migliaia di giovani senza lavoro, dall’altra decine di aziende che non riescono a trovare le competenze che cercano. «Non funziona adeguatamente l’incontro fra domanda e offerta», conferma Rosina. «Sono ancora troppi i giovani italiani che trovano lavoro attraverso canali informali, come le conoscenze. Questo li porta ad accettare anche impieghi lontani dalle loro reali capacità». Ecco perché incentivare il welfare rivolto ai Neet potrebbe rivelarsi un’arma vincente contro la disoccupazione giovanile.

 

Servono più investimenti in formazione da parte delle aziende

 

«Le aziende hanno convenienza a trovare sul mercato del lavoro profili idonei», dice Rosina. Potrebbero quindi investire di più sulla formazione professionale e tecnica, come avviene all’estero. Potrebbero interagire meglio con le scuole per finanziare corsi ad hoc o percorsi professionalizzanti. O replicare quanto avviene in Germania, dove le imprese coniugano formazione e lavoro remunerato. In questo senso potrebbe rivelarsi utile anche l’alternanza scuola-lavoro, purché non si trasformi in una forma di sfruttamento». Solo così i giovani potrebbero tornare a essere un bacino di risorse per il sistema produttivo, dal quale attingere nei prossimi cinque o dieci anni.
«Alcune aziende finalmente lo hanno capito e attraverso le loro fondazioni stanno cominciando a muoversi in questa direzione» spiega ancora l’esperto. Fondazione Cariplo, per esempio, ha lanciato il progetto Neet Work che si rivolge a Neet under 25 con un titolo di studio basso. «In questo modo permette a ragazzi che avrebbero molte difficoltà a trovare un’occupazione di effettuare uno stage in realtà del terzo settore», precisa Rosina.
Esiste anche una seconda realtà virtuosa. Si tratta del programma promosso da Google in collaborazione con Unioncamere e denominato Crescere in digitale. Il progetto offre ai giovani la possibilità di migliorare le proprie competenze in ambito digitale, attraverso un corso online al termine del quale è previsto un test. Chi lo supera ha la possibilità di incontrare le aziende e di effettuare un tirocinio.

 

Obiettivo riattivare i giovani sfiduciati

 

Naturalmente si tratta solo di una piccola goccia, che però dimostra quanto welfare e Neet siano un’equazione sempre più necessaria. Ne sono convinti anche i vertici di Fondazione Cariplo. «Da tempo abbiamo messo i giovani al centro, in particolare quelli più svantaggiati come i Neet», dice Benedetta Angiari, responsabile del progetto Neet Work. Siamo partiti con i primi tirocini fra il 2014 e il 2015, rivolgendoci a un bacino di circa due milioni di ragazzi fra 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano. Il 40% di loro dispone di un titolo di studio basso, al massimo la licenza media e questo è un ostacolo enorme sulla strada dell’occupazione». Il progetto si rivolge proprio a loro: ragazzi con al massimo la terza media, disoccupati da almeno tre mesi, non iscritti al programma Garanzia Giovani e residenti o domiciliati in Lombardia. «Il nostro obiettivo è riattivare i Neet attraverso tirocini retribuiti in organizzazioni no profit della regione», dice. Finora le posizioni raccolte sono 530, le organizzazioni coinvolte sono 264. I tirocini affettivamente attivati sono invece 210. «Durano sei mesi e vengono retribuiti 500 euro al mese», spiega la responsabile. «Al termine possono essere prorogati». Lo scopo non è garantire un lavoro, ma dare ai ragazzi l’opportunità di rimettersi in gioco, di arricchire il curriculum e di creare una rete di relazioni. I benefici sono tanti. «Le aziende hanno la possibilità di trovare giovani talentuosi, insegnando loro il rispetto delle regole e come muoversi bene nel mondo del lavoro. I ragazzi invece possono mettersi alla prova in un contesto protetto», conclude. Naturalmente questo è solo un piccolo passo. Si può e si deve fare di più non solo per combattere ma anche per prevenire il fenomeno dei Neet.

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