Educazione finanziaria come inclusione: il ruolo delle imprese
Business colleagues working and analyzing financial figures on a digital tablet

Educazione finanziaria come inclusione: il ruolo delle imprese

Finlandesi e svedesi usano così spesso le carte di credito da perdere di vista l’andamento del conto in banca. In Italia solo il 37% dei cittadini ha dimestichezza con i concetti base della finanza. Per evitare i riflessi negativi dello “stress finanziario” sul lavoro, tocca alle imprese suggerire soluzioni sostenibili e formare i propri dipendenti.

 

 

In Finlandia il Governo sta correndo ai ripari. L’Esecutivo della giovane Premier Sanna Marin e la banca centrale del Paese, la Suomen Pankki, sono al lavoro su un programma di informazione ed educazione che coinvolgerà tutti i cittadini, anche online. L’emergenza a Helsinki si chiama sovraindebitamento delle famiglie. Complice l’elevato ricorso alle carte di credito, ormai preferite ai pagamenti in contanti per qualsiasi tipo di acquisto, i finlandesi hanno raggiunto un indebitamento medio pro capite pari al 127% del loro reddito.

 

Nonostante un sistema scolastico considerato tra i migliori al mondo, i cittadini al Nord del Mar Baltico non sembrano molto preparati sulle conseguenze delle loro decisioni finanziarie. La facilità con cui spende chi utilizza carte di credito o App di pagamento, cresciute in 10 anni dal 30% all’81%, ha fatto perdere di vista a molti l’andamento del proprio conto in banca. Su 5,5 milioni di cittadini, ben 390mila persone – il 7% della popolazione – sono in sistematica morosità. E non sembra andar meglio nella vicina Svezia, dove il governo lavora a una modifica della normativa di tutela dei consumatori per proteggerli dai sempre più onerosi acquisti online: la nuova legge vieterebbe al mondo dell’ecommerce di indicare quale prima opzione di pagamento il ricorso alla carta di credito.

 

E in Italia? Anche se l’uso della carta è ancora lontano dall’essere diffuso, i dati non sono molto più rassicuranti. Secondo l’Indagine sull’alfabetizzazione finanziaria nel mondo, curata dai ricercatori della Banca Mondiale e della George Washington University, solo il 37% degli italiani ha dimestichezza con i concetti base della finanza. Una percentuale inferiore alla media europea (55%) e al dato rilevato in tutte le altre economie avanzate. Una peculiarità tutta italiana emerge, poi, dai dati delle ultime indagini Pisa (Programme for International Student Assessment) sull’alfabetizzazione finanziaria degli studenti di 15 anni, condotte nel 2012 e nel 2015: in materia di conoscenze economiche e finanziarie, le ragazze sono molto più indietro dei loro coetanei.

 

I giovani che si affacciano al mondo del lavoro rischiano così di non avere le competenze finanziarie, previdenziali e assicurative necessarie per orientarsi. Con effetti anche sul piano professionale. Si calcola, infatti, che un lavoratore su quattro sia interessato da “stress finanziario”. I timori relativi alla situazione economica personale e familiare sarebbero in cima alle preoccupazioni che i cittadini portano anche sul posto di lavoro. Secondo una ricerca della britannica Rand Europe, i lavoratori con problemi finanziari perdono in media sei giorni di lavoro in più ogni anno rispetto ai colleghi.

 

Gli effetti sul lavoro e il ruolo delle imprese

 

Su questo fronte, anche le imprese possono fare la propria parte. “Le principali preoccupazioni delle famiglie ruotano attorno alle questioni di natura finanziaria. Spesso chi le vive si assenta dal lavoro, riducendo la produttività. Ecco perché sempre di più tocca all’azienda proporre alternative sostenibili per i dipendenti, per migliorare l’ambiente di lavoro e anche il rapporto con il personale”, spiega Moacir Giansante, Country Manager per l’Italia di SalaryFits.

 

La Fintech brasiliana è da tempo impegnata nella promozione dell’inclusione e dell’autosostenibilità finanziaria. Ha sviluppato una piattaforma per la gestione del credito, che mette in collegamento i fornitori di prodotti finanziari con i sistemi di busta paga delle aziende per garantire ai lavoratori offerte più eque, tassi di interesse più bassi e condizioni più favorevoli. E offre corsi di educazione finanziaria per i dipendenti delle imprese clienti, in modo da diffondere maggiore consapevolezza sulla dinamica dell’indebitamento.

 

“Lavoriamo in particolare con lo strumento della cessione del quinto dello stipendio, un’invenzione italiana che rappresenta ancora oggi una delle forme più sostenibili di credito”, precisa Giansante. Questo particolare tipo di prestito prevede, infatti, che l’importo massimo delle rate non possa superare il valore di un quinto, ovvero il 20%, dello stipendio mensile. “Durante i nostri corsi, spieghiamo vantaggi e rischi di ogni strumento finanziario, mettiamo in guardia da un basso controllo sulle finanze indotto dall’uso delle carte di credito e facciamo delle comparazioni di acquisto tra crediti più o meno convenienti. Crediamo che la persona debba capire bene come sfruttare al meglio le proprie capacità finanziarie”.

 

In Europa Salaryfits opera da anni in Portogallo e Regno Unito, in partnership con università e fondazioni che si occupano di educazione finanziaria. In Italia questo tipo di formazione nelle imprese è ancora poco richiesta e, per Giansante, c’è ancora molto da fare. “Non è un atteggiamento esclusivo dei datori di lavoro italiani”, puntualizza. “In generale, imprenditori e manager pensano che sia sbagliato intromettersi su temi che riguardano la vita finanziaria dei dipendenti, perché lo considerano un argomento legato alla privacy”.

 

Al contrario, dedicare la giusta attenzione alla salute finanziaria dei dipendenti significa occuparsi della loro produttività. Incentiva chi lavora ad adottare buone abitudini finanziarie e migliora il clima dell’ufficio, aiutando i dipendenti a sentirsi stabili e supportati. “Vogliamo far comprendere che l’azienda può avere un ruolo nel suggerire alternative sostenibili: se il datore di lavoro si prende cura delle finanze familiari, senza entrare nelle situazioni personali di ciascuno, l’ambiente e il rapporto di lavoro ne risentono in modo positivo”.

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