Jointly, un aiuto ai caregiver dal welfare aziendale
senior man in wheelchair with happy caregiver daughter

Jointly, un aiuto ai caregiver dal welfare aziendale

In Italia un dipendente su tre deve occuparsi di un familiare non autosufficiente. Nata nel 2014, l’azienda affianca le imprese offrendo consulenze orientative e contatti con cooperative sociali.

 

Caregiver e sandwich. Il primo termine – letteralmente “colui che si prende cura” – suona rassicurante, il secondo persino scherzoso. Eppure è così che viene definito chi si trova a gestire (a titolo gratuito e fuori da un contesto professionale) l’assistenza a un familiare non autosufficiente, o addirittura chi è “schiacciato” – come in un sandwich, appunto – tra la gestione di figli ancora non autonomi e parenti anziani.

 

Complici l’invecchiamento della popolazione e l’innalzamento della soglia pensionistica, il fenomeno è in crescita. L’Istat ha calcolato che in Italia i caregiver familiari sono 7,3 milioni. Un esercito a cui anche il mondo del lavoro deve imparare a far fronte.

 

Secondo un’indagine, condotta su un campione di 30mila lavoratori di aziende italiane medio-grandi da Jointly, realtà specializzata in servizi di welfare nata nel 2014, insieme con Centro di Ateneo di Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, un dipendente su tre è un caregiver. Nel 77% dei casi il lavoro di cura lo occupa spesso o quotidianamente diventando come un secondo impiego. E un quarto di loro è annoverabile nella generazione sandwich.

 

Lo Smart working non basta ai caregiver

 

I dati raccolti da Jointly e dall’Università Cattolica delineano il ritratto del lavoratore-caregiver: è spesso donna, ma si rileva un’incidenza crescente di uomini che si attivano per prestare assistenza; non ha un’età precisa, perché l’esigenza può presentarsi in diverse fasi della vita; spesso si trova a gestire il problema a distanza, se non vive nello stesso luogo del familiare; e infine non sa per quanto sarà un caregiver, poiché spesso la perdita di autonomia del parente è lenta e progressiva, e anche il bisogno di assistenza evolve secondo uno schema non definito.

 

È evidente, dunque, che lo Smart working non può essere l’unica risposta al fenomeno. E che le aziende devono rivedere le proprie politiche di welfare e di conciliazione vita-lavoro, visto che il lavoro agile è una modalità di organizzazione del lavoro e non una mera misura di conciliazione.

 

La questione, d’altronde, non impatta solo sul dipendente, ma anche sull’impresa stessa: in termini di assenteismo (in media chi beneficia della Legge 104 si assenta 15 giorni in più all’anno, secondo l’Osservatorio Jointly) e di uscita anticipata dal mondo del lavoro (nel 15% delle famiglie si valuta l’uscita di uno dei due familiari per far fronte ai carichi di cura, dati Censis), ma a risentirne è anche la produttività del lavoratore, dato che il ruolo di caregiver comporta un aumento del rischio di burnout legato a maggiore stress, preoccupazione e fatica emotiva.

 

Come trovare il servizio più adatto

 

È qui che entra in gioco Jointly, con il suo servizio specializzato “Fragibilità”, nato per supportare le organizzazioni che vogliono sostenere nel concreto i propri dipendenti-caregiver. Le imprese interessate possono attivare i servizi proposti da Jointly attraverso i contributi welfare.

 

Come racconta a Tuttowelfare.info il Co-founder Fabio Galluccio, Jointly offre due tipi di aiuto. Navigando sul portale web, gli utenti possono entrare direttamente in contatto con cooperative sociali che operano in diversi ambiti – dalla ricerca di badanti al trasporto di anziani e disabili – e possono anche accedere a corsi online su temi relativi al caregiving (per esempio, come relazionarsi con un malato di Alzheimer o come affiancare un ragazzo che soffre di dislessia).

 

Per chi necessita di un orientamento preliminare, invece, Jointly ha attivato il contact center: si tratta di un numero telefonico e un indirizzo email, attivi nelle ore centrali della giornata, attraverso cui consulenti qualificati forniscono indicazioni, sia rispetto ai servizi erogati da Jointly per quel bisogno specifico sia in materia di assistenza pubblica.

 

Con alcune aziende, infine, Jointly prosegue la collaborazione anche con campagne di comunicazione mirate, nella forma di newsletter, giornate di formazione o workshop con esperti.

 

L’importante è non far sentire solo il dipendente”, spiega Galluccio. Né nel gestire il lavoro di assistenza tout court, né nel trovare il tipo di aiuto più adatto alle proprie necessità, attività che richiede ulteriori energie e tempo.

 

C’è ancora (tanto) lavoro da fare

 

Ritrovare nella propria azienda una sensibilità nei confronti dell’argomento, e magari un aiuto concreto, non è tuttavia scontato. “Nelle grandi imprese, che oggi stanno introducendo forme di lavoro agile e di flessibilità, si riesce ad allentare la morsa. Invece per ora le PMI hanno più difficoltà a gestire il fenomeno”, spiega il Co-founder di Jointly.

 

“A queste si aggiungono le imprese che usufruiscono di quote molto basse di welfare, che spesso si concentrano su altro e non forniscono un aiuto ai caregiver”. Tuttavia negli ultimi anni sono stati fatti dei passi in avanti.

 

“Grazie alla defiscalizzazione dei contributi per il welfare dedicati all’assistenza di familiari non autosufficienti, oggi si amplia lo spettro di possibilità con cui le aziende possono sostenere i propri dipendenti-caregiver”, conclude Galluccio. “E laddove c’è una comunicazione corretta e intensiva su questi servizi, le persone vi aderiscono in gran numero”.

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manuela.gatti@tuttowelfare.it