Pmi, la nuova sfida dei sindacati

Pmi, la nuova sfida dei sindacati

Portare il welfare nelle piccole realtà imprenditoriali è la grande scommessa. Così come estendere e i servizi a chi finora ne è stato escluso: disoccupati, precari, lavoratori atipici e pensionati.

Digerito l’arrivo sul mercato di una nuova mediazione fra le parti sociali e superato il problema di dover presentare i vantaggi dei piani di welfare ai dipendenti delle grandi aziende, i sindacati nazionali si preparano ad affrontare nuove sfide che probabilmente li spingeranno a inventarsi nuovi metodi di contrattazione come del resto hanno già dimostrato di saper fare negli ultimi anni.
Gli ostacoli più duri per i sindacati oggi sono infatti due. Il primo è rappresentato dalle piccole realtà industriali, «quelle dove i proprietari preferiscono rinunciare agli sgravi fiscali previsti dal governo piuttosto che far entrare nelle loro imprese i sindacati   per spiegare ai lavoratori i benefici del welfare aziendale», dice Moreno Rezzano della Filcams (Terziario Avanzato). Il secondo, invece è la difficoltà di rapportarsi contemporaneamente «con le aziende e gli enti locali, in particolare sul tema dei servizi», interviene Umberto Cignoli, della Rsu di Nokia. Il tutto senza dimenticare la «difficoltà a definire risposte adeguate alla crescita dei nuovi bisogni sociali e la ridefinizione delle regole di accesso ai servizi, completa Pietro Albergoni del Sindacato Pensionati Italiani. Il che significa anche come estendere i servizi di welfare aziendale agli esclusi, «a chi non lavora, ai precari, agli atipici, ai pensionati», dice Luca Mandreoli, responsabile per le Politiche Sociali della Cgil Monza Brianza.

 

Parola d’ordine:coinvolgimento

Per migliorare le cose e guardare a un welfare allargato bisognerebbe coinvolgere tutte le Rsu e le realtà vicine a ciascuna azienda, gli enti e le istituzioni locali. Coinvolgere le strutture pubbliche e private, le aziende di trasporti, oltre che naturalmente i lavoratori e “territorialità”, dalla quale, ogni accordo, soprattutto di secondo livello, non può prescindere. Insomma «Trovare un nuovo equilibrio fra la democrazia rappresentativa e quella partecipativa. Un coinvolgimento che deve strutturarsi anche con un diverso approccio alle nuove tecnologie di socializzazione e comunicazione», puntualizza Albergoni.

Una bella sfida, ma anche un’occasione per estendere gli effetti della copertura soggettiva della contrattazione di secondo livello a lavoratori che non l’hanno mai sviluppata o che nel tempo l’hanno persa», chiosa Elena Lattuada, segretario generale della Cgil Lombardia.

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