Premi di produttività, un trend in continua crescita
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Premi di produttività, un trend in continua crescita

Come indica il Presidente di Aiwa Emmanuele Massagli, dal 2016 a oggi è salito il numero di aziende che offre premi di produttività in beni e servizi welfare. La strada è lunga, ma già sono evidenti i vantaggi economici per le imprese e per i dipendenti e le loro famiglie.

 

Il numero di accordi aziendali che prevedono la conversione in servizi welfare è in costante aumento rispetto agli anni passati. Da maggio 2016 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali raccoglie il numero di contratti attivi e, attraverso un report periodico, dà anche un’indicazione del trend e della sua diffusione territoriale. Secondo l’ultima rilevazione, in data 14 marzo 2019, sono state compilate 43.229 dichiarazioni di conformità, di queste 10.441 si riferiscono a contratti ancora attivi (8.857 a contratti aziendali e 1.584 a contratti territoriali). Quelli che prevedono misure di welfare sono 5.353.

 

I parametri di rendicontazione sono stati introdotti dalla legge di Stabilità 2016, che ha incrementato le agevolazioni fiscali per le aziende che concedono misure di welfare ai propri dipendenti e introdotto la detassazione dei premi di produttività, ovvero di quell’incentivo di ammontare variabile che i datori di lavoro corrispondono ai dipendenti qualora aumenti uno di questi fattori: produzione, qualità, redditività, efficienza o innovazione. La norma è stata attuata attraverso il Decreto interministeriale del 25 marzo 2016, che, oltre ad avviare una procedura di deposito telematico dei contratti aziendali e territoriali, prevede una tassazione agevolata, con imposta sostitutiva del 10%, per i Premi di risultato e per i fondi erogati sotto forma di partecipazione agli utili di impresa, stando nel limite di duemila euro lordi (poi alzati a tremila dalla legge di Stabilità del 2017), per i lavoratori con reddito fino a 50mila euro (poi diventati 80mila nel 2017).

 

Gli ultimi dati rilevato confermano dunque un trend positivo, come spiega in esclusiva a Tuttowelfare.info Emmanuele Massagli, Presidente di Aiwa (Associazione italiana welfare aziendale): «Da quando nel 2016 il Ministero ha iniziato a rendicontare gli accordi di produttività – gli unici al momento a essere censiti – si è partiti con una media di contratti che includevano la possibilità di ricevere il premio di produttività in beni e servizi welfare inferiore al 30% dei contratti attivi, mentre l’ultimo dato ci dice che siamo saliti al 52%». Un salto rilevante, ancor di più considerato che «dentro quegli accordi ci sono tutte le grandi imprese e quindi un numero più alto di dipendenti rispetto a quello che potrebbe apparire dalla quantità di aziende».

 

Oltre i premi di produttività: il welfare on top

 

Il report evidenzia anche delle differenze nella distribuzione regionale delle richieste. In testa c’è la Lombardia con 12.255 richieste presentate a partire da marzo 2016, seguita dall’Emilia Romagna (7.387) e dal Piemonte (3.847), mentre gli ultimi posti di questa classifica sono occupati da Valle D’Aosta (89) e Molise (88). L’analisi rileva comunque che il 78% delle dichiarazioni è concentrato al Nord, il 16% al Centro e il 6% al Sud.

 

A cosa dobbiamo questa netta differenza? «La disparità tra Nord e Sud non va letta come disparità di welfare, perché è ovvio che quest’ultimo sia più forte dove le imprese sono più forti», sottolinea Massagli. Quello che conta, invece, «è che l’impresa dia un aiuto in materia di servizi non soltanto al dipendente, ma anche al suo gruppo familiare, partecipando dunque indirettamente al sostegno della spesa sociale pubblica».

 

La legge di Bilancio 2016 ha dunque dato vita a una tendenza positiva, ma è necessario fare una precisazione: «Questo tipo di welfare, cioè quello connesso al Premio di produttività, resta minore come impatto e come numeri rispetto a quello on top, cioè a tutte quelle misure che vengono adottate dalle aziende tramite accordi bilaterali o regolamenti d’impresa», argomenta il Presidente di AIWA. Questa tipologia, infatti, ha numeri ben più elevati, «ma non è censito ufficialmente, per cui, per farci un’idea, dobbiamo basarci sulle ricerche», rivela. C’è poi una terza varietà più semplice da rendicontare: «Si tratta delle misure di Flexible benefit presenti nei contratti collettivi nazionali». E se nel 2016 solo quello dei metalmeccanici presentava clausole di questo tipo, «il numero oggi è decuplicato», sottolinea.

 

La scelta ricade sul welfare sociale

 

Ma quali sono i fattori alla base di questa evoluzione? «Bisogna premettere che le risorse economiche sono ancora scarse e che il welfare permette di fornire dei servizi a un minor costo, perché privo di tasse e contributi, ma è innegabile che il rapporto tra datori e dipendenti stia cambiando, assumendo forme più flessibili», spiega Massagli. Infatti, «se anni fa era anomalo che un’azienda dovesse fornire una baby sitter ai propri lavoratori, oggi diventa un fattore determinante perché in alcuni contesti professionali e geografici le persone si aspettano questo tipo di servizio».

 

Ad attrarre le risorse, infatti, sono quasi sempre le misure di natura sociale: «Il dato Aiwa ci dice che la scelta del dipendente ricade su aiuti sanitari o per la cura dei figli e, in misura minore, degli anziani», racconta. Discorso, quest’ultimo, che si aggancia a quello della decontribuzione per le misure di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, introdotte dal Decreto interministeriale del 12 settembre 2017. Al 14 marzo 2019 risultano infatti compilate 3.381 dichiarazioni di conformità di cui 1.938 corrispondenti a moduli validi anche ai fini della detassazione e 1.398 corrispondenti a depositi validi solo per la decontribuzione.

 

Le aziende, però, possono fare di più: «Dovrebbero allargare il loro paniere di beni e servizi, concentrandosi di più su quelli di natura sociale», ammette Massagli. Molte le misure che potrebbero essere messe in campo per migliorare la qualità della vita dei propri impiegati: «Noi come Aiwa abbiamo suggerito di prevedere aiuti negli affitti per i figli dei dipendenti che per motivi di studio vivono in altre città oppure di far rientrare le spese per gli animali domestici, che sono spesso un’occasione importante di compagnia per le persone, e infine auspichiamo la possibilità di cedere i propri crediti a chi ha esigenze di cura più rilevanti in un determinato momento».

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