Un’estate in colonia (aziendale)
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Un’estate in colonia (aziendale)

Dagli ‘ospizi marini’ di fine Ottocento e del Secondo Dopoguerra ai più recenti soggiorni estivi organizzati dalle imprese. Tra queste ultime spiccano le iniziative di Eni, volte a creare una forte employer identity e a supportare i dipendenti e i loro familiari.

 

L’estate sta finendo, portando con sé quella disposizione d’animo da ‘fine delle vacanze’ che fa diventare tutti un po’ malinconici, come quando si avvicinava la ripresa della scuola. Così, sull’onda della “nostalgia del passato” cantata dal Casadei di Romagna mia, sui social network spopolano i gruppi di ex bambini villeggianti nelle colonie dell’Adriatico.

 

D’altra parte, in Emilia Romagna le colonie hanno una tradizione lunga e significativa, che comincia sul finire dell’Ottocento e che arriva fino ai nostri giorni, intrecciandosi con il welfare aziendale, tanto che ci sono aziende che mettono a disposizione dei figli dei dipendenti (o dell’intera famiglia) di soggiornare in strutture convenzionate.

 

Come racconta a Tuttowelfare.info la Storica Luciana Lucchi, specializzata proprio nell’attività di ricerca su questo tema, “nel corso dell’Ottocento, l’assistenza all’infanzia era principalmente effettuata tramite la beneficenza di privati o di associazioni filantropiche, istituite ad hoc per provvedere alla cura delle vare affezioni che colpiscono i fanciulli, tra cui la ‘scrofola’, una forma di tubercolosi ghiandolare. Tale patologia, conosciuta fin dall’antichità, ha esito infausto e miete vittime soprattutto tra i bambini poveri a causa delle condizioni igienico sanitarie in cui spesso essi vivono”.

 

Nel 1750 il medico inglese Richard Russel, come spiega Lucchi, “individua i benefici della talassoterapia nella cura della scrofola, riportando i primi casi di guarigione grazie ai bagni di mare: nel 1796 sorge a Margate, Kent, il primo ospizio volto alla cura dei bambini”.

 

In Italia il primo nasce a Viareggio, nel 1842: “Dalla seconda metà dell’Ottocento alla Prima Guerra mondiale si diffonde la costruzione degli ospizi marini. Il maggior numero sorge proprio sulla Riviera Romagnola, scelta per le ampie spiagge e per la facilità d’accesso al mare grazie al dolce digradare dell’arenile. Gli ospizi sono luoghi dove i bambini soggiornano anche d’inverno, per sfruttare durante tutto l’anno i benefici della talassoterapia”.

 

Un esempio di tale sforzo rimane a tutt’oggi, come ricorda la storica, “la tangibile testimonianza dell’Ospizio Marino Augusto Murri, edificato nel 1911 a Bellariva di Rimini, e ora in stato di abbandono”. “Essendo una struttura permanente, l’Ospizio Murri è dotato di riscaldamento, doppie pareti per la ventilazione raffrescante nei mesi più caldi, vasche sotterranee alimentate da acqua marina riscaldata ed inoltre vi è una scuola interna. Durante l’Ottocento gli Ospizi rimangono l’unico luogo ove i bambini, al di sotto degli otto anni, possono ricevere cure adeguate, in quanto le istituzioni ospedaliere dell’epoca non ammettono bambini al di sotto di tale età, affetti da malattie gravi, come la scrofola, poiché le cure sono considerate troppo onerose”.

 

In questo quadro di assistenza all’infanzia s’inserisce l’esperienza del reverendo zurighese Walter Hermann Bion (1830-1909), “che osserva i fanciulli poveri trascorrere l’estate in città, spesso in ambienti sovraffollati e malsani, con ripercussioni negative sia sulla loro salute fisica, sia morale: per ovviare a ciò nel 1876 conduce 94 fanciulli di Zurigo sulle montagne del cantone dell’Appenzell. Lì i bambini trascorrono qualche settimana suddivisi in gruppi da 20 a 30, sotto il controllo di maestre e maestri: sono sorte le prime Colonie per le vacanze (Die FerienKolonien).

 

Il sostentamento dell’iniziativa proviene sempre dalla beneficenza privata “eppure, per la prima volta si offre la possibilità di godere di un periodo di vacanza al di fuori della città a dei fanciulli sani”. Il modello ha tal successo che varca i confini della Svizzera: nel 1878 è introdotto in Germania, due anni dopo in Austria, nel 1883 in Francia.

 

Le colonie climatiche di De Cristoforis

 

In Italia, Malachia De Cristoforis, nel 1881, istituisce la prima colonia climatica, “gratuita per gli alunni poveri delle scuole comunali di Milano, al fine di offrire la possibilità a quelli più gracili di trascorrere un periodo in montagna a fini terapeutici”. Ma per trovare un’istituzione simile al modello Bion, occorre attendere il 31 marzo 1889 quando, ricorda Lucchi, “Alberto Dallolio, davanti alla Società degli insegnanti di Bologna, riprende la tesi di Bion e chiede il loro aiuto per realizzarla”: ci riesce e il 1 agosto 1889 24 fanciulli, 12 bambini e 12 bimbe, partono per Castiglione dei Pepoli, in provincia di Bologna.

 

“Erano le prime Colonie Scolastiche Estive d’Italia. La loro peculiarità era sia nei criteri della scelta dei fanciulli da inviare in vacanza, sia nell’organizzazione della vita dei fanciulli in montagna. A differenza dell’istituzione di De Cristoforis, che mantiene la mission di cura, Dallolio associa la condizione dello stato di povertà a quella del merito scolastico e vi possono accedere solo bambini sani”.

 

Per anni Dallolio affitta abitazioni per i piccoli coloni, ma egli racconta la storica si adopera per poter costruire una struttura predisposta alla funzione di colonia, progetto che troverà compimento il 5 agosto del 1935 quando, a Pian delle Fate di Castiglione dei Pepoli, è inaugurata la colonia a lui intitolata. Nonostante l’entrata in guerra dell’Italia, nell’estate del 1940 la colonia riesce ugualmente a ospitare 100 bambini per due turni.

 

Nel 1941 i locali della colonia vengono consegnati al Comando Federale della Gioventù Italiana del Littorio che da maggio a ottobre li utilizza per ospitare alcuni dei bambini rimpatriati dalla Libia. Nel 1944 la Colonia è occupata da reparti militari tedeschi e della Repubblica Sociale Italiana. Nel 1945 diventa sede dal Comando alleato. Dal 1947 al 1979 la colonia riprende a funzionare.

 

Dal 1980 perde la sua funzione e, salvo qualche utilizzo straordinario e saltuario, cade in completo abbandono. Fino al 2010 quando è acquistata dal Comune di Castiglione dei Pepoli che la ristruttura destinandone l’uso a residenza per anziani. Nel 2015 apre la casa Colonie Dallolio, destinata ad anziani non autosufficienti.

 

Dal termine del Secondo Conflitto mondiale, per far fronte al baby boom, si ristrutturano alcune delle tante colonie che erano state costruite durante il Ventennio, “come la colonia Bologna ex X Legio di Miramare di Rimini, gestita dal Comune di Bologna dal 1947 al 1958 e dall’Opera Diocesana di Assistenza dal 1960 al 1977”.

 

Dagli Anni 50, accanto all’assistenza all’infanzia pubblica, si diffonde quella privata anche grazie al cosiddetto ‘miracolo economico’ italiano. Molte aziende, dice Lucchi, edificano colonie alle quali inviare i figli dei propri dipendenti. Tuttora, passeggiando lungo l’arenile di Cesenatico nell’area denominata ‘delle Colonie’, sulle facciate delle colonie è possibile leggerne il nome, spesso coincidente con quello dell’azienda che ne ha promosso la costruzione. La maggior parte delle colonie che sorgevano lungo la Riviera Romagnola sono ora in disuso o in stato di abbandono: “Diverse sono le cause: denatalità, diffuso benessere, crisi delle aziende”.

 

Eppure, la loro muta presenza consente ancora oggi d’apprezzare l’imponente sforzo compiuto dagli Enti pubblici e dai privati per offrire una vacanza ai fanciulli, ma questa stimola anche riflessioni per un loro riutilizzo che ne conservi l’indirizzo sociale. “Una proposta può essere prendere spunto dalla soluzione individuata dal comune di Castiglione dei Pepoli, ove dall’assistenza ai bambini si è ora passati a quella agli anziani”, conclude Lucchi.

 

Dalle colonie ai soggiorni estivi: il caso di Eni

 

In verità oggi, nonostante sembri un’abitudine desueta, ci sono ancora diverse aziende, pubbliche, private o a partecipazione pubblica, che consentono ai dipendenti, come misura di welfare aziendale, di utilizzare voucher o di beneficiare direttamente di periodi di vacanza per i propri figli minori. Ci sono aziende che lo consentono solo ai bambini e ragazzi disabili, riprendendo forse un po’ l’originaria vocazione della colonia marina o montana: le chiamano “settimane di sollievo” e replicano un modello che è decisamente più in voga per gli anziani e di cui i caregiver beneficiano più volentieri.

 

Questa soluzione ha più riscontro quando è proposta o da associazioni specifiche (per esempio che si occupano di una data patologia, magari già frequentate per altre terapie dalla famiglia), oppure se il soggiorno è offerto anche ai familiari. Ma ci sono anche, dicevamo, i ‘soggiorni estivi’ per tutti i figli dei dipendenti, che cercano di non evocare il nome “colonia”, che a qualche adulto richiama ancora alla mente metodi educativi desueti e atmosfere di altri tempi.

 

Una di queste aziende è Eni, che, come riferisce a Tuttowelfare.info tramite il suo Ufficio Stampa, attua investimenti significativi nel welfare aziendale, considerandolo “dimensione importante della storia aziendale e della sua employer identity”. “In questo ambito le iniziative rivolte al miglioramento della qualità della vita familiare dei dipendenti costituiscono una parte rilevante”.

 

Per quanto riguarda la cura dei figli, “le attività di welfare di Eni abbracciano tutte le fasce di età e le principali esigenze. Da oltre 10 anni presso la sede di San Donato Milanese – e da settembre 2019 anche a Roma – è attivo un nido scuola aziendale basato sulla continuità didattica, la centralità del bambino e su approcci educativi all’avanguardia.

 

I servizi sono disponibili per un massimo di 300 bambini dai tre mesi ai sei anni e garantiscono la massima copertura di orario e calendario”. Il nido scuola Eni “è strutturato per accogliere qualunque forma di disabilità. L’attenzione all’inclusione rappresenta infatti un valore fondamentale in tutti i servizi di welfare”. Ne è un esempio Fragibilità, la piattaforma dedicata ai caregiver che prevede anche un supporto specifico per i figli dei dipendenti che presentano disturbi dell’apprendimento”.

 

Sull’onda di queste iniziative che si protraggono tutto l’anno, si inseriscono i “soggiorni vacanza estivi, residenziali e gratuiti, della durata di due settimane per i figli dei dipendenti (di età compresa fra i sei e i 16 anni), presso la struttura marina di Cesenatico e quella montana al villaggio olimpico di Bardonecchia”. Ogni anno vengono ospitati circa 1.700 bambini e ragazzi “tra cui 300 provenienti da consociate estere Eni o facenti parte di progetti di accoglienza solidaristici”.

 

Nel 2019 l’esperienza di multiculturalità “ha coinvolto Paesi come Congo, Ghana, Pakistan, Indonesia, Spagna e Kazakistan”, fanno sapere dall’azienda. “I programmi dei soggiorni estivi rappresentano un’occasione di crescita che passa attraverso la scoperta, l’autonomia, il piacere di stare con gli altri in un clima divertente e stimolante e, nello stesso tempo, offrono opportunità di apprendimento e formazione grazie a laboratori educativi pensati per le diverse età”.

 

Per i ragazzi di 15-16 anni i soggiorni estivi “si trasformano in un Summer camp, capace di coniugare scoperta culturale ed esplorazione naturalistica con un programma specifico e qualificato di studio della lingua inglese”. Definizioni, insomma, che cambiano nella forma, magari usando qualche termine anglosassone, ma, forse, non nella sostanza. È presente un’ampia offerta di attività didattiche e sportive, così come vuole la moderna pedagogia, che senz’altro ha superato da tempo quella delle classiche ‘colonie estive’, destinate a bambini che sapevano annoiarsi e oziare meglio di quelli di oggi, ma, in fondo, la sostanza è sempre la stessa.

 

La proposta di Eni “è arricchita con uno sportello di ascolto e consulenza per i genitori nel supporto all’inserimento di bambini e ragazzi disabili, con attività in lingua inglese per tutti e con un programma di supporto nelle scelte di indirizzo scolastico rivolto in particolare ai ragazzi di 12-13 anni”. L’orientamento scolastico o professionale “costituisce infatti un altro ambito importante delle attività di welfare di Eni, che offre ai figli dei dipendenti iniziative in presenza e percorsi a distanza (Push To Open e Think About Tomorrow) che, attraverso contenuti web, laboratori e testimonianze aziendali, consentono ai ragazzi di confrontarsi con tutor, esperti e rappresentanti dell’impresa, per riflettere sulle proprie attitudini e sul futuro professionale”.

 

Sempre per i giovani che si affacciano alle scelte universitarie, dal 2019 Eni ha messo a disposizione Fit Your Future, “una piattaforma web per supportare i famigliari dei dipendenti, attraverso l’allenamento e il rafforzamento delle proprie competenze, nella preparazione ai test di ammissione alle facoltà ad accesso programmato”.

 

Cambiano dunque le parole per definirle, ma le colonie estive non sono un semplice ricordo in bianco e nero. Talvolta attirano elogi come misura di conciliazione dei tempi di lavoro e vita dei dipendenti, altre volte sono viste come un’ennesima interferenza delle aziende nella vita di essi. Possiamo dire che attraverso le colonie tornano le ‘aziende chioccia’, che si occupano della vita dei dipendenti ‘dalla culla alla tomba’, o si tratta di un modello tramontato? I numeri elencati da Eni lasciano pensare a ben altro: ora che la cinghia si è stretta un po’ per tutti, queste realtà meritano decisamente una rinnovata attenzione, al di là dell’effetto amarcord.

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chiara.pazzaglia@este.it