Fondi Ue, l’Italia dimentica il Terzo settore

Fondi Ue, l’Italia dimentica il Terzo settore

In Italia, il riconoscimento ai corpi intermedi di una funzione di regia nella realizzazione dei servizi alle persone grazie ai fondi europei non è l’unico nodo da sciogliere nel 2021

 

Il Terzo settore in Italia può contare su più di 350mila associazioni e 850mila dipendenti, per un valore aggiunto superiore al 4% del Pil nazionale. E nei mesi scorsi, mentre il Covid-19 imperversava, i volontari sono stati in prima linea nelle risposte mediche, comunitarie e sociali, ottenendo anche vari ringraziamenti dalle istituzioni. Ma adesso, all’interno del piano che l’Italia deve mettere a punto per accedere ai fondi del Next Generation EU (il Piano per la ripresa dell’Europa colpita dalla pandemia), non c’è nessun riferimento diretto all’economia sociale, alle cooperative, associazioni di volontariato o imprese sociali.

 

Diversa la situazione in Francia, dove il 25% delle risorse del piano sono destinate a questi segmenti, percentuale che sale al 30% in Germania. Quella circolata al momento in Italia, comunque, è una bozza di piano che indica nove direttrici di finanziamento, alcune delle quali (come l’istruzione, l’equità sociale o l’ambiente) strettamente correlate con il no profit. Ma non è chiaro se ci sia la possibilità di un accesso diretto ai fondi, come per la Pubblica amministrazione o le imprese.

 

Dai fondi europei alla riforma non completata

 

La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza 131 del giugno scorso ha affermato che gli enti hanno la stessa rilevanza dello stato e del mercato: una decisione storica che attende di essere tradotta in legge ordinaria. Inoltre, pare che le risorse economiche vengano affidate alle Regioni, alle quali il Governo ha chiesto dei progetti. Il rischio, però, è che siano slegati tra di loro. Il riconoscimento ai corpi intermedi e alle associazioni di una funzione di regia nella realizzazione dei servizi alle persone, comunque, non è l’unico nodo da sciogliere nel 2021.

 

Il Codice del Terzo Settore (D.lgs 117/2017) ha provveduto al riordino e alla revisione complessiva della disciplina vigente in materia, sia civilistica che fiscale, definendo gli enti che ne fanno parte. Questi dovranno essere comparire nel registro unico nazionale del Terzo settore (Runts), una parte molto importante della riforma perché gli iscritti devono possedere determinate caratteristiche. Ma a che punto è la normativa dopo i rinvii del 2020 dovuti alla pandemia? Dei 24 atti normativi previsti dal Codice per il suo completo funzionamento, ad oggi ne sono stati approvati 11.

 

Una delle questioni da risolvere è, per esempio, l’attuazione del Capo V del Codice, che prevede il lancio di nuovi strumenti di finanza sociale come i social bond (obbligazioni sociali) e i social loan (prestito sociale tra privati), che darebbe maggiore libertà di azione agli enti.

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