Il ruolo chiave del welfare aziendale per superare il gender gap
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Il ruolo chiave del welfare aziendale per superare il gender gap

Legislazione arretrata e abitudini difficili da cambiare, ma con il welfare aziendale si può ridurre il gender gap

 

Le parole delle stilista Elisabetta Franchi a “Donne e Moda: il barometro 2022”, evento organizzato da IlFoglio e PWC, hanno scosso non solo il mondo del lavoro, ma la società italiana tutta. Ormai da qualche giorno non si parla altro delle controverse frasi dell’imprenditrice bolognese che, parlando dei dirigenti della sua azienda, ha candidamente ammesso preferire donne “anta” nei ruoli chiave della sua organizzazione, donne che non hanno figli o che li hanno già fatti: “Comunque ancora ragazze ma cresciute. Se dovevano far figli o sposarsi lo avevano già fatto e quindi io le prendo che hanno fatto tutti i giri di boa e lavorano h24, questo è importante”.

 

Parole che, non poteva essere altrimenti, hanno scatenato una bufera e a poco sono servite le correzioni di rotta successive: “L’80% della mia azienda sono quote rosa di cui: il 75% giovani donne impiegate e il 5% dirigenti e manager donne. Il restante 20% sono uomini di cui il 5% donne. C’è stato un grande fraintendimento per quello che sta girando sul web” e che, a prescindere dal caso specifico, hanno riportato i riflettori su un grande problema italiano: la disparità di occupazione tra uomini e donne e le difficoltà per le lavoratrici di coniugare carriera e famiglia.

 

I dati parlano chiarissimo, il report Gender Gap Report del World Economic Forum del 2021 pone l’Italia a 114° posto (su 156) per partecipazione economica delle donne. In attesa di riforme molto chiacchierate e mai realizzate, che cambino leggi da anni non più al passo coi tempi, ad aiutare le donne che lavorano e in particolare le madri, possono essere solamente iniziative di singoli imprenditori e aziende. Il Welfare Aziendale, insomma, è la chiave per cambiare una situazione che in troppi casi sembra immutabile e innescare un circolo virtuoso.

 

Le iniziative, già oggi, non mancano si pensi ad esempio a quelle realtà che offrono un asilo nido aziendale. Nel 2019 erano circa 220 gli asili nido aziendali, sugli oltre 11.700 presenti sul territorio nazionale, dove i dipendenti possono lasciare i propri figli mentre lavorano. Non mancano i casi di babysitting domiciliare gratuito entro un monte ore prestabilito, mentre Luxottica offre ai propri dipendenti una “baby week”, ovvero una settimana di permesso retribuito per seguire l’inserimento dei figli al nido.

 

Altre iniziative importanti sono quelle legate a bonus spesa o voucher dedicati all’acquisto di beni essenziali per l’infanzia come i pannolini, o che possono essere usati per pagare le spese legate all’istruzione dei figli. Esemplare, in questo senso Danone, che offre prodotti per l’infanzia ai propri dipendenti e anche un contributo di natura economica per la cura dei figli.

 

Da non sottovalutare infine, i benefici dell’orario flessibile, meglio ancora se sincronizzato con le esigenze della genitorialità. E’ questo ad esempio il caso di Illumia che ha messo a punto un “Orario mamma” per garantire la massima flessibilità alle neomamme. Le idee e le soluzioni non mancano, la speranza è che si diffondano sempre più e forse, anche parole come di Elisabetta Franchi serviranno a qualcosa se l’indignazione collettiva si trasformerà in azioni concrete.

 

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