C’è un welfare che fa bene al territorio
È grazie a una sinergia tra impresa e territorio basata su scelte di welfare mirato a livello locale che si produce benessere per lavoratori e per la comunità. Ma per le PMI la strada da percorrere è ancora lunga, pur essendoci segnali incoraggianti.
Asili nido, palestre, strutture ricreative, ma anche ristrutturazione di parchi e giardini locali. Le aziende che mettono al centro l’individuo e la sua comunità lo fanno con una serie di misure che vanno a impattare sul benessere psicofisico del dipendente e a migliorare la sua quotidianità.
Il welfare si pone dunque come un veicolo di servizi e strutture che regalano nuova linfa ai territori poco abitati e anche come una risposta concreta al fenomeno della desertificazione commerciale, che spesso si traduce nello spopolamento dei piccoli borghi. Secondo uno studio di Confcommercio del 2018, realizzato tra il 2008 e il 2017 sulle strutture commerciali e turistiche nelle città italiane, la perdita degli esercizi nel corso di questo decennio è infatti del 10,9%.
Numeri che aprono una riflessione sul ruolo e sulla responsabilità degli enti territoriali prima e delle imprese poi nel processo di ripopolamento dei centri urbani minori. Servono iniziative concrete a supporto delle piccole comunità, che possono tradursi nel finanziamento di un asilo nido o nelle convenzioni con delle strutture ricreative o attività commerciali. Che funzione possono assumere le aziende in questo processo? Ne abbiamo parlato con Luca Pesenti, sociologo dell’Università Cattolica di Milano, professore di “Soggetti, regole e strumenti del welfare” e membro del Comitato Scientifico di Tuttowelfare.info.
“Il nesso tra ripopolamento e investimenti delle aziende potrebbe sembrare scontato, ma non lo è, tant’è che ancora non sono state fatte ricerche sistematiche sulle ricadute territoriali del welfare aziendale”, spiega. Siamo ancora in una fase embrionale: “In alcune province lombarde e venete stiamo assistendo ad alcuni esperimenti di aggregazione territoriale che poi si dotano di piattaforme ad hoc con fornitori a Chilometro Zero, ma siamo agli albori”.
Una strada tutta da costruire
Le cooperative locali stanno spingendo molto in questo senso e anche le aziende legate al proprio territorio cercano di creare convenzioni con le attività commerciali. I segnali positivi dunque non mancano, ma “il mercato è ancora in mano ai grandi Provider che come priorità hanno quella di fornire un bouquet di benefit ampio e non quello di tutelare il Chilometro Zero”, sottolinea.
Le esperienze che riescono ad avere maggiore impatto sono quelle in cui l’intervento dell’ente pubblico si combina con quello delle aziende e dei privati: “In questi casi rileviamo uno specifico interesse a costruire distretti di welfare che abbiano una ricaduta a livello territoriale, attraverso servizi e prodotti”.
Diventa dunque di centrale importanza coinvolgere le piccole e medie imprese, ma per raggiungere quest’obiettivo è necessario un lavoro su più livelli: “Diventa fondamentale la costruzione di sinergie di rete tra una pluralità di soggetti capaci di costruire quello che definisco un ‘welfare responsabile’: enti locali territoriali, centrali cooperative, organizzazioni sindacali e di rappresentanza. Le aziende da sole, soprattutto quelle di piccola taglia, non possono farcela”, ammette.
Seppur i dati recenti lascino ben sperare, infatti, i numeri sono ancora troppo marginali: “Si registra sicuramente una maggiore attenzione a questi temi e servizi da parte delle organizzazioni, ma al momento la penetrazione è ancora assolutamente episodica”.
Le difficoltà delle PMI
Un percorso nuovo, dunque, e ancora tutto da disegnare. Ma quali sono gli elementi imprescindibili per un piano di welfare che pensi anche al territorio? “In molti casi le PMI fanno fatica a entrare nelle piattaforme fornite dai grandi Provider (e di contro per molti Provider le piccole dimensioni rappresentano un disincentivo in termini di ritorno economico), ma culturalmente non riescono ancora a legare le proprie strategie a un welfare territorializzato”, racconta.
Bisogna poi tenere in considerazione che un imprenditore a capo di un’organizzazione di piccole dimensioni difficilmente dispone di un personale dedicato a questo tipo di progetti. Fondamentale dunque l’informazione e l’aiuto da parte di forze esterne: “C’è una prateria molto grande su cui lavorare, ma l’importante è che il fattore umano resti centrale, perché questo permette di creare delle reti sostenibili e responsabili, che aiutano i singoli e il loro ambiente di vita e lavoro”, dice Pesenti.
In effetti, se si guarda alle piccole imprese, è difficile trovare esperienze in cui aziende e territorio collaborano per creare servizi e strutture. Quando il numero di dipendenti cresce, invece, le pratiche di welfare aumentano. È il caso di Cobo Spa, società leader nel settore dell’elettrotecnica per componenti di veicoli industriali nata nel 1946, che ha sempre puntato molto sulla collaborazione con le realtà amministrative locali.
Tra le varie attività condotte c’è anche l’aver finanziato un asilo nido comunale a Leno, in provincia di Brescia: “In questo modo i nostri colleghi che hanno figli possono contare sui posti prioritari, la nostra logica è quella di stare sempre attaccati al territorio”, spiega Natale Manini, HR Director di Cobo Spa.
Un altro servizio importante è quello fornito da Mazzucchelli 1849, azienda leader a livello mondiale nella produzione dell’Acetato di Cellulosa con sede a Castiglione Olona in provincia di Varese, che – tra le varie misure di welfare messe in atto – ha costruito un Poliambulatorio con servizio infermieristico e specialistico, con lo scopo di migliorare la qualità della vita dei propri dipendenti, ma anche delle loro famiglie e dei pensionati ex lavoratori dell’impresa.
La strada da percorrere, però, è ancora lunga, ammette Pesenti: “Fino a qui il welfare si è sviluppato prevalentemente nelle grandi imprese, la vera sfida per il futuro è democratizzarlo e diffonderlo pienamente anche nelle PMI, che sono quelle più attive a livello comunitario”.