Come incentivare l’adesione dei giovani alla previdenza complementare
La partecipazione alla previdenza complementare degli Under 35 in Italia è molto bassa, come la quota di contribuzione. Le proposte per parlare ai Millennial del loro futuro pensionistico
Uno dei principali profili di evidenza che risaltano dalla recente relazione annuale della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) è rappresentato da un non ancora sufficiente livello di inclusione previdenziale, soprattutto per quel che riguarda le fasce dei lavoratori maggiormente esposti al rischio pensionistico. Come sottolinea l’autorità di vigilanza “il tema afferisce fortemente all’oggi, ma va considerato con estrema attenzione nella prospettiva del domani”.
Vi è, in primo luogo, una discrasia di tipo territoriale con la maggior parte degli iscritti che risiede nelle regioni del Nord (57%). Come elemento di analisi e spunto di riflessione va evidenziato in questa prospettiva il fenomeno virtuoso dei fondi pensione territoriali (Laborfonds in Trentino Alto Adige, Solidarietà Veneto in Veneto e Fondemainin Valle d’Aosta).
C’è poi una sensibile differenza di genere, con una elevata percentuale di iscritti ai fondi pensione tra gli uomini che rappresentano il 61,9%, concentrandosi per lo più nelle forme previdenziali di tipo negoziale (73,4%) mentre nelle soluzioni di tipo individuale, e in particolare nei Piani individuali pensionistici (Pip) si registra un maggiore equilibrio con il 46,4% degli iscritti rappresentato da donne.
Particolarmente delicato è poi il tema legato alla distribuzione per età delle adesioni con la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 52,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 29,5% ha almeno 55 anni. Concentrando l’attenzione sugli occupati, la partecipazione alla previdenza complementare dei soggetti Under 35 è pari al 21,2%, inferiore di circa un terzo a quella delle fasce di età centrali (35-54 anni); anche la contribuzione è inferiore di circa la metà.
I rischi per i Millennial e il loro futuro pensionistico
Al di là della mera evidenza statistica, la ridotta adesione dei giovani alla previdenza complementare assume il carattere di una vera e propria emergenza nazionale. Va, infatti, evidenziato come l’applicazione nei loro confronti del metodo di calcolo contributivo che riflette previdenzialmente nel proprio meccanismo di funzionamento l’intera vita lavorativa (si sommano virtualmente i contributi versati lungo l’intero percorso occupazionale), li espone a un sensibile fattore di alea sulla adeguatezza del futuro trattamento pensionistico.
Impattano, per esempio, in maniera rilevante fenomeni quali il ritardato ingresso nel mercato del lavoro, la precarietà (con possibili e più o meno prolungati periodi di vuoto contributivo), le retribuzioni più ridotte rispetto a quelle dei nostri genitori e nonni. Non vanno poi dimenticate altre peculiarità del contributivo che estendono la propria ombra sul domani previdenziale delle giovani generazioni. Va ricordato in primo luogo come la rivalutazione annuale dei contributi considera l’andamento del Prodotto interno lordo (la media dell’ultimo quinquennio) come fattore propulsivo e l’attuale congiuntura appare in tale senso tutt’altro che rassicurante nell’immediato futuro.
Al momento della quiescenza si applicheranno poi gli specifici coefficienti di trasformazione che riflettono attuarialmente a ogni possibile età pensionabile la speranza di vita residua. Tale parametro viene rivisto ogni biennio per adeguarli all’evoluzione demografica del nostro Paese. Essendo l’Italia un Paese caratterizzato da un accentuato fenomeno di invecchiamento (l’Istat ha anticipato dalle prime stime della mortalità per Covid-19 che potrebbe esserci nel 2020 un effetto di freno, ma da considerarsi come una sorta di ‘cigno nero’, non tale cioè da essere letto come una inversione del trend) l’aggiornamento periodico si riflette in genere in una decurtazione dell’assegno pensionistico.
Non è allora un caso che il tema ‘giovani e pensioni’ sia oggetto di dibattito nell’ambito dello specifico tavolo di confronto sulla previdenza tra Governo e sindacati, riunitosi per un nuovo kick off a fine luglio 2020 dopo lo stop dettato dal lockdown e che a breve è destinato a riprendere (sono in calendario due incontri l’8 e il 16 settembre 2020). In particolare, oltre al superamento di Quota 100 alla fine del naturale periodo di sperimentazione nel 2021, all’età pensionabile dei lavori gravosi, alla separazione tra previdenza e assistenza, si vorrebbe introdurre una pensione contributiva di garanzia proprio a beneficio dei Millennial per immunizzarli dall’elevato rischio previdenziale con una sorta di ‘zoccolo duro’.
Si guarda con molta attenzione nel tavolo di confronto anche per il rilancio della previdenza complementare proprio per favorire una maggiore inclusione previdenziale dei giovani, prevedendo una nuova finestra di silenzio-assenso – una specie di meccanismo di ‘spinta gentile’ – accompagnata però da una campagna istituzionale mirata e capillare per favorire una maggiore consapevolezza previdenziale.
Le proposte per avvicinare i giovani alla previdenza complementare
Altri aspetto cui si guarda con molta attenzione è poi quello fiscale, con la proposta dell’ Associazione Nazionale fra le Imprese Assicurative (Ania) di prevedere la deducibilità dei contributi versati dai nonni per i nipoti e quella sostenuta un po’ da tutti gli osservatori di detassare i rendimenti dei fondi pensione, come avviene peraltro in quasi tutti gli altri Paesi europei, che si tradurrebbe in un sensibile vantaggio su archi temporali prolungati quali sono quelli che caratterizzano la partecipazione di un giovane ad un piano previdenziale.
Altra frontiera efficiente da percorrere per favorire un maggior tasso di adesione dei giovani è quella delle adesioni online, fortemente perorate dalla Covip. L’importanza del canale digitale è evidenziata da una recente ricerca di Insurance Europe secondo cui con riferimento alle modalità di ricezione dell’informativa sui prodotti previdenziali, in media due terzi dei cittadini europei intervistati hanno dichiarato di preferire il digitale al cartaceo (addirittura il 70%, come c’era da aspettarsi, nella fascia 18-35 anni; e quasi tre quarti nel caso di persone con un livello alto di istruzione). Persino sorprendente, è il fatto che l’Italia, in questa speciale classifica, svetta con il 74,5%.
È importante sottolineare infine, anche in vista del programma che il Governo deve presentare a Bruxelles per richiedere le risorse del Recovery Fund, come il Piano nazionale di riforme già elaborato dal Ministero dell’Economia, che rappresenta il driver dei futuri ragionamenti, evidenzi proprio tra gli obiettivi un maggiore sviluppo dei fondi pensione come elemento di sostenibilità del nostro sistema previdenziale e di adeguatezza delle future prestazioni dei giovani lavoratori.