Comunicare il welfare aziendale

Comunicare il welfare aziendale

Il successo di un piano di welfare aziendale è il risultato (anche) di una strategia di comunicazione. Non basta infatti ascoltare i bisogni delle persone e fornire loro le piattaforme di flexible benefit. Serve spiegare le opportunità generate dal welfare aziendale.

 

La rivoluzione del welfare aziendale ha una data precisa: 2016. Risale alla legge di Stabilità di quell’anno la prima spinta legislativa decisiva per rilanciare una leva di People management dall’origine antica. Non è infatti un mistero che nella Prima Rivoluzione Industriale, gli imprenditori inglesi adottassero soluzioni dedicate agli operai affinché i lavoratori – spesso prelevati dalla campagna – potessero vivere a due passi dalle fabbriche insieme con la famiglia e utilizzare svariati servizi (per esempio, a disposizione delle ‘case operaie’ c’era un medico per tutti gli abitanti).

 

A caratterizzare quel welfare di stampo paternalistico, le cui tracce sono visibili in Italia in quel che resta delle Città di fondazione come il Villaggio di Crespi d’Adda, era l’impostazione verticistica delle decisioni in tema di benessere: stava alla scelta unanime dell’imprenditore – come un padre di famiglia che sa di che cosa hanno bisogno i figli – selezionare i servizi da mettere a disposizione dei lavoratori, nell’obiettivo di incentivare la produttività.

 

Pur sopravvivendo anche oggi il welfare paternalistico in numerose realtà, in particolare nelle Piccole e medie imprese, a decretare la diffusione delle soluzioni di welfare è stata l’opportunità di poter applicare gli sgravi fiscali ai flexible benefit. Ma l’effettiva impennata delle adozioni dei piani di welfare non è corrisposta all’effettivo utilizzo da parte dei lavoratori.

 

Analizzando l’ultimo rapporto del Ministero delle Finanze (Mef) sull’utilizzo del welfare aziendale riferito al 2017, si scopre che il numero di persone coinvolte è stato limitato. In particolare è il dato di conversione del premio di risultato in welfare (previsto dal 22% degli accordi aziendali analizzati dal Mef) a confermare che l’uso dei flexible benefit in sostituzione del premio in denaro è ancora limitato: meno del 30% dei dipendenti, cui era stata offerta l’occasione, hanno preferito usare beni o servizi di welfare al posto della riscossione della quota monetaria.

 

Una situazione spesso riscontrabile anche nel caso del welfare on top e del welfare inserito nei rinnovi dei contatti collettivi, la cui mancata fruizione corrisponde però alla totale perdita del bene-servizio. Le conseguenze dell’uso limitato sono il profondo scontento dei dipendenti perché il messaggio percepito è di disinteresse dei loro bisogni da parte dell’azienda che a sua volta perde un’occasione per fortificare, o creare, una nuova relazione con le persone.

 

Welfare come leva di benessere organizzativo

 

Intervistando numerosi Direttore del Personale di aziende di varia dimensione, si scopre che dietro il successo dell’utilizzo del welfare c’è una strategia di comunicazione supportata spesso dal Marketing. Basta anche una rapida ricerca su Google Trends per evidenziare che nel 2019 la keyword “welfare aziendale” è associata più alla parola “comunicazione” che non a “contabilità” (che comunque resta al secondo posto): segnale che la fase di ‘comprensione’ dei vantaggi fiscali legati al welfare sia ormai tramontata.

 

Si è così aperta la stagione nella quale il welfare è diventato una leva di un ben più ampio benessere organizzativo, che si concretizza nel soddisfare le numerose – e mai come oggi diverse – necessità del personale. Da qui la necessità di applicare soluzioni di design thinking per la creazione dei piani, affinché si tengano in considerazione le differenti esigenze dei dipendenti.

 

Neppure questa scelta – dice l’esperienza di tanti HR – può però garantire l’effettivo e pieno utilizzo dei piani di welfare. Alla fase di ascolto delle necessità delle persone si deve associare un’intensa attività di comunicazione interna con svariati strumenti: email, volantini, blog, brochure, incontri, seminari…

 

Fondamentale resta però il passaparola peer-to-peer. Più che dei responsabili, i dipendenti si fidano più dei colleghi che – magari inconsapevolmente – si trasformano in ‘ambasciatori’ del welfare aziendale. In questo caso la sfida per l’azienda è gestire lo storytelling, per diffondere i messaggi più idonei per ampliare la platea di utilizzatori del welfare.

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