Mutuo nel welfare aziendale: perché oggi non è più conveniente
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Mutuo nel welfare aziendale: perché oggi non è più conveniente

Tra i fringe benefit (cioè gli elementi addizionali alla retribuzione che le aziende possono offrire ai propri dipendenti sotto forma di beni o servizi a fronte di una minore tassazione) possono rientrare anche i mutui o i finanziamenti a lavoratori dipendenti. In particolare, l’azienda si può far carico degli interessi passivi dovuti a un istituto di credito su un mutuo (o un prestito personale) dal lavoratore dipendente. Il classico caso di fringe benefit di questo tipo è quello dei dipendenti bancari che hanno la possibilità di accedere a mutui agevolati.

Come si usufruisce di questo strumento? Si tratta a tutti gli effetti di un rimborso, non di un pagamento diretto: il lavoratore sarà tenuto a onorare i propri debiti con il suo creditore per poi recuperare una parte di quanto versato grazie al welfare aziendale.
Dal punto di vista fiscale, il fringe benefit per il debito personale da tassare in busta paga corrisponde all’effettivo costo sostenuto dall’azienda, calcolato come il 50% della differenza tra il tasso di interesse concesso al dipendente e quello ufficiale di sconto (il cosiddetto Tur, Tasso ufficiale di riferimento).

Negli ultimi mesi tuttavia questo meccanismo ha generato un problema di calcolo delle imposte sugli interessi agevolati, generando un cortocircuito. I fringe benefit infatti non concorrono alla formazione del reddito se non superano il tetto di 258,23 euro, che si alza fino a 3 mila euro per i dipendenti con figli minori a carico. In caso di superamento della soglia si pagano Irpef e contributi sull’intera somma.

Ora, il “delta” che concorre alla formazione del reddito varia al variare del tasso Bce: un indice che a fine luglio 2022 era fermo allo 0,5%, mentre oggi è arrivato al 4,25% dopo la stretta monetaria decisa a Francoforte per combattere l’inflazione (senza contare gli ulteriori rialzi ventilati per il prossimo futuro). Il risultato è che i dipendenti che hanno contratto un mutuo vedono crescere a dismisura la forbice sulla quale verrà applicata l’aliquota Irpef. In pratica, risulta ora praticamente impossibile rimanere all’interno della soglia dei fringe benefit e, di conseguenza, i dipendenti si ritrovano a pagare un beneficio presunto da assoggettare a tassazione per intero perché supera la soglia di esenzione, il tutto con un impatto diretto su diverse voci della dichiarazione dei redditi. In effetti ora diverse banche (che da sempre sono più propense di altre aziende ad offrire il pagamento del mutuo attraverso il welfare) e portali di erogazioni di benefit aziendali hanno deciso di sospendere questo strumento.

“La questione è molto complicata e, anche senza considerare le ultime problematiche legate all’aumento dei tassi di interesse, inserire il pagamento del mutuo all’interno del welfare condanna l’azienda a un calvario burocratico e amministrativo da non sottovalutare” dice Riccardo Zanon, avvocato, consulente del lavoro e tra i docenti del Master di Welfare Manager di Tuttowelfare. “A mio avviso è sempre preferibile, nel caso l’azienda sia intenzionata a offrire questo benefit, demandarlo a un soggetto terzo, per esempio un portale ad hoc, oppure dedicare un interno ufficio aziendale a questo ambito (ovviamente, se l’azienda è sufficientemente strutturata)”. Già da anni Zanon si è dichiarato scettico su questo strumento. “A questo punto, risulta più conveniente per i dipendenti detrarre il tasso d’interesse del mutuo direttamente dal 730, quindi all’interno della dichiarazione dei redditi, piuttosto che usufruire dei fringe benefit”.

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