Il favor della previdenza complementare nel welfare aziendale

Il favor della previdenza complementare nel welfare aziendale

Cresce la percentuale di lavoratori che convertono il Pdr in contribuzione aggiuntiva. A dimostrazione di quanto sia un mezzo che consente al lavoratore di colmare il gap che si genera nel calcolo contributivo della pensione.

 

Nel welfare aziendale prevale l’offerta di sanità integrativa e previdenza complementare. A confermarlo è la recente Indagine Confindustria sul lavoro del 2019.

 

Con riferimento particolare ai fondi pensione va ricordato come la normativa prevede, oltre ai vantaggi fiscali per dir così ordinari, anche una disciplina di maggior favore nel caso in cui il dipendente decida di convertire il Premio di risultato (Pdr) in contribuzione aggiuntiva.

 

La finalità è quella di coniugare la volontà di incentivare la produttività del lavoro e la tendenza all’innovazione, tra gli obiettivi precipui del welfare aziendale, con una soluzione che consente al lavoratore di colmare il gap tra reddito da lavoro e pensione obbligatoria che si genererà al momento della quiescenza per effetto dell’adozione del metodo di calcolo contributivo.

 

La previdenza complementare, imperniata poi nel nostro ordinamento sul principio della centralità della contrattazione collettiva, sembra ‘sposarsi’ in modo ottimale con i piani di welfare aziendale.

 

Cresce la contrattazione di secondo livello

 

Anche sulla scia del regime fiscale agevolato riconosciuto in via strutturale alle retribuzioni premiali, la diffusione della contrattazione di secondo livello è cresciuta sia nell’industria sia nei servizi. Sulla base delle risposte delle imprese che hanno partecipato all’indagine in ciascuno degli ultimi tre anni, è infatti aumentata tra i due e i cinque punti percentuali, a seconda della dimensione aziendale.

 

Oltre alla corresponsione di premi, oltre un terzo dei contratti aziendali prevede oggi la possibilità che questi siano convertiti in welfare (35%). La previsione di tale opzione è in forte crescita, su livelli pari a oltre a una volta e mezza rispetto a quelli del 2018.

 

Con particolare riferimento al welfare aziendale quasi la metà delle aziende associate versa contributi in fondi di assistenza sanitaria integrativa a favore dei propri dipendenti (45,9%), principalmente in applicazione di quanto previsto dai Contratti collettivi nazionali di lavoro (39%).

 

La diffusione della previdenza complementare è al 28,7%, anch’essa soprattutto in attuazione di Ccnl (24,5%). Per entrambe le forme di welfare, la percentuale di imprese che le mettono a disposizione dei propri dipendenti schizza tra quelle grandi, in particolar modo nell’industria (rispettivamente 81,5% e 75,6%).

 

La strada da percorrere è però ancora lunga soprattutto osservando i dati di adesione ai fondi pensione. Secondo il Rapporto annuale del Censis nel 2018 erano quasi 8 milioni gli iscritti alla previdenza complementare, vale a dire il 34,3% degli occupati, ma la quota di iscritti scende al 27,5% tra i lavoratori millennial. Solo il 23,3% degli italiani dichiara poi di sapere bene che cosa sia la previdenza complementare (19,4% tra i 18-34enni).

 

I vantaggi per datore di lavoro e lavoratori

 

Uno dei ‘passi in avanti’ fondamentali è quello di meglio conoscere i sensibili vantaggi che la normativa prevede sia per il datore di lavoro sia per i lavoratori. Partendo dall’impresa si prevede in primo luogo la deducibilità del contributo datoriale. Va ancora sottolineato come le contribuzioni a carico del datore di lavoro sono soggette al solo versamento di un contributo di solidarietà del 10% e non alla ordinaria contribuzione obbligatoria (33% di cui 23,81% a carico datore lavoro e 9,19% a carico lavoratore).

 

Considerando poi che il Tfr è una fonte di autofinanziamento, si prevede la deducibiltà di una sua quota versato ai fondi pensione pari al 4% per aziende con almeno 50 addetti e al 6% per aziende con meno di 50 addetti. Si prevede ancora l’esonero del versamento del contributo al Fondo di Garanzia Inps pari allo 0,20% del monte salari riferito al Tfr versato alle forme pensionistiche complementari. Si configura poi la riduzione del costo del lavoro (cosiddetti oneri impropri), correlata al flusso di Tfr maturando conferito, pari dal 2014 allo 0,28%.

 

Il lavoratore, con l’adesione al proprio fondo pensione collettivo di riferimento, costruisce il proprio percorso di integrazione pensionistica e diversifica il proprio rischio previdenziale. A una pensione obbligatoria, che nel metodo di calcolo contributivo rivaluta annualmente il montante accumulato virtualmente sulla base dell’andamento della media del Prodotto interno lordo degli ultimi cinque anni, affianca una forma pensionistica complementare che si incrementa sulla base dell’andamento dei mercati finanziari.

 

Andando a evidenze empiriche, attingendo alle ultime statistiche della Covip, dall’inizio del 2019, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i fondi negoziali hanno guadagnato il 6,4%; il 7,2% i fondi aperti. Nel periodo da inizio 2009 a fine dicembre 2018 (10 anni), il rendimento medio annuo composto è risultato pari al 3,7% per i fondi negoziali, al 4,1% per i fondi aperti. Nello stesso periodo, la rivalutazione media annua composta del Tfr è stata pari al 2%.

 

Notevoli sono poi i benefici fiscali per il lavoratore partendo dalla deducibilità dei contributi versati entro il limite annuo dei 5.164,57 euro, proseguendo con la tassazione ridotta dei rendimenti al 20% rispetto al 26% delle altre rendite finanziarie, fino alla tassazione delle prestazioni con imposta sostitutiva del 15% che si riduce dello 0,30% per ogni anno di durata superiore al 15esimo fino a un minimo del 9%.

 

I benefici rafforzati in caso di conversione del Pdr

 

Di particolare interesse è poi la previsione introdotta nel nostro ordinamento per cui, in caso di versamento del Pdr a una forma di previdenza complementare, se ne prevede la completa esenzione fiscale sia in fase di versamento sia in fase di pensionamento.

 

Nel caso in cui il lavoratore dipendente decidesse allora di destinare, in tutto o in parte, l’incentivo previsto al proprio fondo pensione, i relativi contributi non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, anche se eccedenti il limite ordinario di deducibilità annua dei 5.164,57 euro.

 

Il contributo derivante dal versamento del Pdr non concorrerà poi a formare neanche la parte imponibile delle prestazioni pensionistiche complementari, contrariamente a quanto avviene per la contribuzione ordinaria.

 

Per godere però di tale agevolazione anche in sede di tassazione finale è necessario che l’iscritto comunichi al fondo pensione l’importo del premio di risultato versato entro il 31 dicembre dell’anno successivo (nel concreto entro il prossimo 31 dicembre andrà comunicato l’importo del premio versato nel 2018).

 

* Lorenzo Giuli è un esperto di previdenza complementare

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