Sostegno allo studio, l’esempio è la Danimarca

Sostegno allo studio, l’esempio è la Danimarca

L’Italia è penultima in Europa per il numero di laureati. Investire in formazione e sovvenzioni per sostenere i percorsi di studio dei giovani diventa una priorità. L’esempio cui guardare è la Danimarca, che non si limita a non far pagare le tasse universitarie agli studenti, ma li incentiva a uscire di casa con un sussidio mensile.

 

Il tema del diritto allo studio – da sempre al centro del dibattito sul welfare – si è acceso da quando nel 2010 la Commissione europea ha lanciato il piano strategico Europa 2020, in cui si chiedeva agli Stati membri di raggiungere determinati obiettivi, tra cui quello di incrementare la quota di popolazione laureata tra i 30 e i 34 anni, che nel 2020 dovrebbe essere almeno pari al 40%.

 

Numeri che vedono decisamente indietro l’Italia che – dati Eurostat alla mano – nel 2017 ha visto laureato nella fascia 25-34 anni solo il 26,9% delle persone (penultima in Europa, davanti solo alla Romania). Questa tendenza sembra riguardare il modello italiano in generale; se estendiamo il campione alle persone in età da lavoro, viene fuori che solo uno su sei è in possesso di una laurea, anche in questo caso il secondo dato peggiore in UE dopo la Romania 

 

Se restringiamo il cerchio alle persone tra i 25 e i 34 anni la situazione migliora leggermente, ma siamo ancora ben lontani dalla media europea (il 26,4% contro il 38,8%). Parte del problema è da ricercarsi negli investimenti economici dello Stato che nel 2015 ha messo sul piatto il 4% del Pil nel settore della formazione, rispetto al 4,9% della media europea.  Il tema del sostegno allo studio resta dunque ancora molto dibattuto in Italia.

 

Nel 2017 è stata introdotta la NO Tax Area che permette a tutti coloro che hanno un ISEE sotto ai 13.000 euro di non pagare l’iscrizione all’università, mentre chi ha un ISEE compreso tra i 13.000 e i 30.000 può comunque beneficiare di riduzioni del pagamento. Per accedere alla NO Tax Area il primo anno è necessario il solo requisito economico, mentre dal secondo anno l’agevolazione va di pari passo con alcuni criteri di merito (aver raggiunto un determinato numero di crediti formativi).  

 

Ci sono poi le borse di studio (217 milioni di euro di fondi erogati a fronte dei 149 milioni del 2013), che dipendono sia dal requisito economico che da quello di merito e che hanno importi differenti (specificati nei bandi) a seconda che si tratti di uno studente in sede, pendolare o fuori sede. Tuttavia queste misure non sembrano ancora sufficienti a raggiungere la media europea del 38,8% di laureati nella fascia 25-34 anni.  

 

Il caso virtuoso della Danimarca 

 

In un quadro come questo diventa necessario guardare all’esempio dei Paesi nordeuropei, in particolar modo alla Danimarca, che non si limita a non far pagare le tasse universitarie agli studenti, ma li incentiva a uscire di casa con un sussidio mensile, lo Statens Uddannelsesstøtte (SU), ovvero lo schema di sovvenzioni e prestiti riservato ai giovani e gestito dalla Danish Agency for Higher Education. L’istruzione, in particolar modo quella universitaria, si afferma infatti come una delle punte di diamante del welfare del Paese nordeuropeo.

 

Il SU si traduce in un sussidio di 6.166 corone, equivalenti a 825 euro (su cui però vanno pagate le tasse), una somma messa sul piatto dal governo per spingere gli Over 18 a uscire fuori dal proprio contesto familiare e iniziare un percorso di studi che porti alla piena indipendenza. Stessa cifra per gli studenti che fanno parte dell’Unione europea e che decidono di studiare in Danimarca (molte le facoltà che hanno corsi sia inglese sia nella lingua madre); l’unico requisito che devono possedere  oltre a un livello base della lingua anglosassone  è un contratto lavorativo da almeno 12 ore la settimana.  

 

Dati alla mano, il modello sembra funzionare. Secondo l’Eurostat, infatti, nel 2017 la percentuale della popolazione in possesso di laurea nella fascia di età 25-34 era del 46,2% in Danimarca. Come abbiamo visto, alla base di un risultato di questo tipo c’è sicuramente un investimento finanziario importante. Sono sempre i dati Eurostat  questa volta relativi al 2015 – a confermarci che la Danimarca è il Paese che investe di più in formazione (il 7% del suo Pil contro il 4,9% europeo). 

 

Ogni anno lo Stato spende 3,3 miliardi di euro solo tra sussidi e prestiti calmierati (quasi l’1% del Pil). L’università a costo zero ha senza dubbio un peso rilevante sulle casse dello Stato, ma garantisce a tutti i giovani  qualunque sia la loro estrazione sociale  la possibilità di poter studiare. L’assegno viene distribuito con cadenza mensile per tutta la durata degli studi, con un extra di 12 mesi di copertura in più rispetto al termine previsto degli studi.  

 

La borsa di studio viene erogata a copertura intera (gli 825 euro di cui abbiamo scritto all’inizio) a coloro che decidono di andare via da casa, mentre viene più o meno dimezzata a quelli che, pur seguendo un corso di studi universitario, restano a vivere con la famiglia. Un modo per incentivare l’indipendenza e per spingere i più giovani a trovare un lavoro  magari part-time  per potersi mantenere al 100%, considerato anche il rilevante costo della vita e degli affitti (soprattutto a Copenaghen). Il SU si rivela dunque una misura di welfare che al tempo stesso protegge e rende liberi e che senza dubbio contribuisce al benessere sociale dell’intero Paese. 

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ludovica.liuni@tuttowelfare.it