Il welfare familiare vale 109,3 miliardi di euro

Il welfare familiare vale 109,3 miliardi di euro

I servizi legati alla salute, supporti per lavoro, istruzione, assistenza e previdenza sono ormai un’industria che vale il doppio di quella dell’abbigliamento made in Italy. Una crescita di business dovuta non solo alla necessità di dare risposte ai bisogni dei dipendenti che il welfare pubblico non è più in grado di sostenere, ma anche il bisogno delle imprese di attrarre talenti  per dare continuità nel tempo al loro business.

 

Il welfare familiare, ovvero quello che eroga servizi legati alla salute, così come supporti per il lavoro, istruzione, assistenza, cultura e tempo libero, previdenza e protezione, vale qualcosa come 109,3 miliardi di euro. A dirlo è Mbsconsulting,  società di consulenza strategica in ambito della gestione delle Risorse umane. Cifra che colloca questo particolare comparto tra le maggiori industrie del Paese, al pari di quella agroalimentare e il doppio di quella dell’abbigliamento e che fa del welfare famigliare uno strumento strategico su cui investire risorse  in maniera sempre più mirata. Diverse sono le aziende che hanno ormai fatto proprio questo concetto sia tra le grandi imprese come Unilever, Enel, Eni, Lavazza Anheuser-Busch InBev e Coca Cola, sia tra le piccole e medie come Monnalisa solo per citarne alcune. E il trend è in deciso aumento come ha confermato l’Osservatorio Ocsel della Cisl, in base al quale nel biennio 2016-2017 gli accordi di secondo livello che hanno previsto misure di welfare sono stati il 27% contro il 18% del biennio precedente.

 

Parola d’ordine employer branding

 

Investire nel welfare aziendale però non ha solo un valore sociale, ma diventa sempre più una necessità per le aziende attente alla continuità del loro business per le quali la parola d’ordine da qualche tempo a questa parte è diventata employer branding, vale a dire la capacità di costruirsi una reputazione come datore di lavoro che possa incontrare gli interessi dei nuovi giovani talenti e attrarli a sé.  Lo conferma anche l’ultima indagine di Randstad che ha coinvolto 30 paesi, più di 5.700 aziende e 175mila lavoratori  (di cui quasi 5.900 in Italia) e che alla fine ha decretato che le aziende con un’immagine positiva attirano il doppio delle domande di lavoro rispetto alle concorrenti con una reputazione negativa e spendono meno in risorse umane. Non solo. Il 96% del campione concorda sul fatto che l’allineamento tra valori personali e cultura aziendale sia un fattore fondamentale per la propria soddisfazione nel lavorare in una certa azienda. Ancor più indicativi dell’importanza dell’employer branding sono poi i dieci fattori che le nuove generazioni considerano prioritari nella scelta di un datore di lavoro, tra questi i primi 5 sono : work life balance, vale a dire il buon bilanciamento tra vita lavorativa e dimensione privata (55%); atmosfera di lavoro piacevole (51%), retribuzione e benefit (48%) sicurezza del posto di lavoro (46%). Con una differenza sia tra lavoratori e lavoratrici – gli uomini privilegiano più il tema salariale, le donne invece quello del work life balance – sia nelle fasce d’età: il tema dell’equilibrio tra dimensione lavorativa e quella privata risulta più importante nella fascia d’età 25-44 anni. E l’Italia non sembra fare eccezione.

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