Come rendere il lavoro più flessibile ed efficiente con il “patto del rendimento”
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Come rendere il lavoro più flessibile ed efficiente con il “patto del rendimento”

Da alcuni anni stiamo assistendo ad un progressivo cambiamento del modo di lavorare, sempre più flessibile e meno soggetto a vincoli di orari e luogo. Questo mutamento, avendo effetti positivi sull’organizzazione del lavoro, sui processi e sulla produttività dei dipendenti, impatta direttamente il business dell’azienda. Tuttavia, se i modelli organizzativi stanno cambiando, altrettanto non si può dire del diritto del lavoro: le regole rigide e anacronistiche previste dal 1942 codice civile, 1970 Statuto dei lavoratori, non tengono conto delle esigenze di organizzazione del lavoro imposte dal progresso tecnologico e dal work life balance sempre più centrale per aziende e lavoratori. Oggi si è così creato un enorme divario tra le esigenze concrete delle aziende, legate alla modernizzazione, e le vecchie regole che non stanno al passo dei cambiamenti e delle necessità. Lo strumento che potrebbe garantire una soluzione tra flessibilità ed efficienza è il cosiddetto “patto di rendimento”: un accordo scritto tra azienda e dipendente in cui fissare in maniera esplicita gli obiettivi, le rispettive attese e le possibili conseguenze in caso di performance negativa. Lo ha illustrato l’avvocato Luca Failla, dello studio Failla&Partners, durante il primo consegno di Tuttowelfare dal titolo “Strategie di benessere aziendale per la crescita delle PMI”.

 

L’attuale ordinamento, sostiene Failla, è ispirato da un modello classico di rapporto di lavoro subordinato “verticale” e “gerarchico”, ormai inadeguato. Nel contesto del lavoro subordinato, la maggior flessibilità spazio-temporale ha portato infatti il lavoratore a diventare più autonomo e il datore di lavoro a fare maggiormente affidamento sulla responsabilità dei collaboratori. Si stanno così modificando i parametri con cui misurare la prestazione lavorativa, spostandosi sempre più sui concetti di “rendimento” e “obbiettivi” anziché sul numero di ore dedicate al lavoro indipendentemente dal risultato.

 

Qualcosa però si sta recentemente cominciando a muovere anche in ambito legislativo, per favorire in ambiente lavorativo una maggior collaborazione e partecipazione, un coordinamento efficace e rapporti di lavoro di tipo “orizzontale”. Un esempio è la settimana corta, di cui si parla nel D.Lgs. n. 66/2003, basata sull’idea che l’orario normale di lavoro non è fissato su base giornaliera, ma settimanale e ammonta a un totale di 40 ore. A questo punto sono possibili due approcci, spiega l’avv. Failla: se si segue il criterio della “retribuzione quantitativa”, il giorno “non lavorato” viene “spalmato” sui giorni residui (senza nessuna riduzione effettiva); oppure si sceglie la “riduzione effettiva della prestazione”, cioè il giorno “non lavorato” viene effettivamente “perso” in cambio di una garanzia di rendimento qualitativo e quantitativo della prestazione nei giorni residui di lavoro effettivo. In entrambi i casi è evidente l’importanza del “patto di rendimento”, alla base di qualsiasi accordo sul lavoro flessibile.

 

Il “patto di rendimento” consiste in un accordo con cui azienda e collaboratori concordano in via sperimentale il raggiungimento di un rendimento atteso in un intervallo temporale fissato (giornaliero/settimanale/bisettimanale/mensile etc.) a cui subordinare il mantenimento del beneficio della short week. In caso di mancato raggiungimento del rendimento atteso dopo un certo periodo di verifica (ed eventuale assestamento e intervento) il collaboratore perde il beneficio dell’orario ridotto. In questo modo il lavoratore diviene responsabile e garante in prima persona del rendimento atteso.

 

Per rendere tutto questo concretamente possibile, l’avv. Failla propone di inserire il patto di rendimento all’interno del patto di lavoro. Potrebbe infatti essere molto utile definire chiaramente e per iscritto: gli obiettivi aziendali in fase di ingaggio, le rispettive attese di lavoratore e datore di lavoro, il rendimento e gli obiettivi attesi anche in fase di assegnazione di bonus e cambio di posizione, e le possibili conseguenze in caso di performance negativa (come cambio di posizione o responsabilità, periodi verifica, ecc.). Nella pratica, quindi, si dovrebbe intervenire attraverso la riscrittura delle lettere di assunzione, di assegnazione bonus/mansioni/ruoli, in modo da garantire fin da subito totale trasparenza, instaurare un clima di fiducia e promuovere quella flessibilità che è alla base del benessere dei lavoratori e dell’azienda.

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