Copan e Flamma, il welfare che viene dal basso

Copan e Flamma, il welfare che viene dal basso

Copan e Flamma, due aziende che hanno fatto del welfare uno strumento di crescita. Che parte dai dipendenti, informandoli, ascoltandoli, coinvolgendoli. Delle iniziative e dei risultati ottenuti con le loro strategie di welfare, ce ne parlano i protagonisti.

 

 

Qual è la ricetta per costruire un sistema per migliorare il benessere dei lavoratori che duri e si sviluppi nel tempo? A questa domanda hanno risposto Stefania Marcozzi, Industrial Organizational Psychologist di Copan, e Maurizio Capelli, Chief Financial Officer di Flamma, che hanno portato l’esempio dei propri sistemi di welfare, spiegando come sono stati implementati e quali risultati hanno ottenuto.

 

Ne è emerso un modello in cui è necessario spendere molto tempo per informare e coinvolgere i dipendenti per rendere le decisioni condivise e in cui le idee vengono raccolte da basso. Ma anche un modello che funziona se il management è il primo a crederci, se c’è una forte volontà da parte dell’amministrazione e la disponibilità a fare investimenti sul medio-lungo termine perché i risultati non si vedono nell’immediato.

 

Copan, “l’azienda del sorriso”

 

Copan voleva costruire un sistema che durasse nel tempo e dimostrasse lo sviluppo continuativo del benessere organizzativo. Così ha messo in atto tutta una serie di iniziative e di interventi per migliorare il benessere dei dipendenti e prendersi cura dei diversi ambiti della loro vita. “Abbiamo ideato un piano di welfare molto nutrito perché vogliamo capire come arrivare davvero a tutti i lavoratori”, spiega Marcozzi.

 

“Prima, però, abbiamo speso molto tempo per diffondere le informazioni e rendere le decisioni condivise. Per esempio, abbiamo istituito un giornalino aziendale scritto dai dipendenti su base volontaria, e organizzato dei tour aziendali una volta al mese per permettere alle persone di conoscere come sono fatti gli uffici e come si lavora negli altri stabilimenti. Poi abbiamo raccolto le idee dal basso, abbiamo messo a sistema dei progetti e li abbiamo monitorati per vedere se c’è ritorno”.

 

Le iniziative spaziano dal centro di ascolto all’asilo aziendale aperto dalle 5.45 fino alle 22, dalla palestra alla scuola di yoga in azienda. “È difficile misurare le ricadute del nostro piano di welfare, perché non esiste uno strumento oggettivo per farlo. Il nostro ‘strumento’ di rilevazione è analizzare come rispondono i dipendenti alle esigenze dell’azienda”.

 

“E, da quando abbiamo implementato il piano di welfare, abbiamo notato un aumento della disponibilità delle persone in generale, e in particolare a mettere in campo nuove idee e alla collaborazione. Abbiamo anche osservato un maggiore attaccamento e voglia di sostenere l’azienda e i suoi obiettivi”. Ma c’è un dato in particolare che rende l’amministrazione orgogliosa. “Adesso i dipendenti ci definiscono come l’azienda del sorriso”, conclude la manager di Copan.

 

Il modello Flamma e il “welfare da imprenditore”

 

“Per noi di Flamma, fare welfare non è un ruolo da HR: deve essere il management a crederci. Per funzionare, un piano di welfare deve partire da una forte volontà da parte dell’amministrazione. Infatti, fino a qualche anno fa, da noi era l’imprenditore, su richiesta dei dipendenti, a occuparsi di welfare”, racconta Capelli.

 

“I lavoratori sollevavano i propri problemi e le necessità direttamente con il capo azienda che trovava soluzioni ad hoc. Il problema è che queste non erano strutturate e l’approccio non era sistematico: le iniziative venivano prese quando si presentava un bisogno e coprivano solo una piccola platea di dipendenti che ne aveva fatto esplicita richiesta”.

 

Così, nel 2016 Flamma ha deciso di introdurre un sistema strutturato, adattabile a bisogni diversi e rivolto a tutti i dipendenti, sia operai sia manager. “Poiché la popolazione è molto differenziata abbiamo optato per la modalità dei flexible benefit. Abbiamo intrapreso un percorso che coinvolgesse azienda e dipendenti, con la mediazione anche delle associazioni sindacali, per decidere insieme quali attività di welfare introdurre per l’anno”.

 

Il progetto di welfare include iniziative per tutelare la salute; l’ambiente di lavoro, come per esempio l’installazione di erogatori d’acqua per abolire l’uso della plastica; il benessere attraverso l’introduzione di distensori per ridurre lo stress durante i periodi molto tesi; corsi di primo soccorso per la sicurezza; la conciliazione vita-lavoro attraverso permessi e modalità di Smart working; e formazione.

 

“Il primo segreto per far funzionare un piano di welfare è fare in modo che sia ben comunicato, con una comunicazione che non sia solo monodirezionale, dall’alto al basso. Inoltre, ci vuole un’amministrazione disponibile a fare investimenti sul medio-lungo termine, perché i risultati si vedono nel giro di qualche anno, non nell’immediato. Ma soprattutto non si può introdurre un piano di welfare vincente se non ci sono già le condizioni ottimali per quanto riguarda il salario e l’ambiente di lavoro”, conclude il manager di Flamma.

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alessia.albertin@tuttowelfare.it