Flessibilità e Smart working: potenziano la produttività, ma non è welfare

Flessibilità e Smart working: potenziano la produttività, ma non è welfare

La questione della flessibilità oraria come strumento di welfare aziendale è stata spesso dibattuta: ecco il commento dei due esperti e docenti del corso di Welfare Specialist Aldo Bottini e Diego Paciello

 

Negli ultimi due anni è emersa una nuova dimensione del welfare aziendale, maggiormente ancorata a bisogni di natura sociale e meno legata ad aspetti più ‘consumistici’, come i buoni spesa. A sostenerlo è Welfare for people, il quarto rapporto sul welfare occupazionale e aziendale in Italia, presentato recentemente da Intesa Sanpaolo e da Adapt, associazione no profit per gli studi internazionali e comparativi in ​​materia di lavoro e relazioni industriali. Lo studio ha evidenziato l’impatto dell’emergenza sanitaria e della conseguente trasformazione economica e sociale su aziende e persone, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello psicologico, tanto che un possibile effetto è quello della intensificazione del fenomeno della cosiddetta ‘Great resignation’ (le grandi dimissioni).

 

Il Rapporto si è focalizzato sull’analisi dei protocolli e accordi aziendali stipulati da aziende e rappresentanti dei lavoratori nel corso del 2020: è emerso un quadro variegato di previsioni, che dimostrano come le aziende che già avevano sperimentato misure di welfare aziendale siano state sicuramente avvantaggiate nell’adottare soluzioni efficaci per la fase pandemica.

 

La risposta più importante di fronte alla situazione emergenziale, come è facilmente intuibile, ha riguardato il piano sanitario, anche e soprattutto per merito dei fondi di assistenza sanitaria, istituiti dalle parti attraverso i Contratti collettivi nazionali del lavoro (Cnnl), che hanno saputo introdurre rapidamente prestazioni ad hoc rivolte ad aziende e lavoratori; segue poi il ricorso al riconoscimento di crediti welfare, utilizzati in funzione premiale nel caso di presenza sul luogo di lavoro per garantire la continuità di attività produttive nel periodo di generale sospensione delle attività. Soluzioni come i bonus spesa, inoltre, hanno permesso a molte persone l’acquisto di dispositivi sanitari e tecnologici necessari a supportare esigenze personali e familiari.

 

Ogni anno, come da tradizione, il Rapporto si concentra su una particolare categoria industriale: questa volta l’interesse è ricaduto sull’industria alimentare. È emerso che la materia della flessibilità organizzativa e della conciliazione vita-lavoro rappresenta il 70% delle misure di welfare contrattate a livello aziendale.

 

Il benessere dei lavoratori è una conseguenza del piano welfare

 

La questione della flessibilità oraria come strumento di welfare aziendale è stata spesso dibattuta. Quanto è stato evidenziato dallo studio proposto, però, ha riportato la questione in auge. Ne abbiamo parlato con Aldo Bottini, Partner dello Studio Toffoletto De Luca Tamajo, e Diego Paciello, Responsabile dell’area fiscale, Welfare, Compensation and Benefits dello stesso studio. Gli esperti sono anche docenti del corso per Welfare Specialist organizzato da Tuttowelfare nel 2022.

 

“Nel contesto attuale le iniziative di welfare, agendo positivamente sul benessere dei lavoratori, rappresentano certamente una leva efficace per migliorare retention ed attraction. Tuttavia, non tutte le iniziative che producono benessere per i lavoratori rappresentano una misura di welfare in senso stretto in quanto, talvolta, il wellbeing rappresenta solo una conseguenza di misure introdotte principalmente allo scopo di migliorare la produttività e la competitività aziendale”, è la tesi dei due esperti.

 

La formazione continua in ambito professionale, per esempio, nonostante sia suscettibile di produrre vantaggi per i lavoratori, è in primo luogo una misura finalizzata a migliorare la produttività e disporre di risorse più competenti. Pertanto, spiegano Bottini e Paciello, non rappresenta propriamente una misura di welfare, piuttosto è una leva di sviluppo professionale in un’ottica di total reward, che produce engagement, ma non persegue l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei dipendenti come, invece, la formazione su nutrizione, stile di vita salutare o mindset.

 

“Lo stesso ragionamento può essere applicato a misure di flessibilità organizzativa in termini di orario e Smart working le quali, pur generando benessere, rappresentano prioritariamente una leva volta a migliorare l’organizzazione del lavoro e, di conseguenza, la produttività”, specificano Bottini e Paciello.

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