Gender Gap in Italia: il welfare aziendale può ridurre il problema
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Gender Gap in Italia: il welfare aziendale può ridurre il problema

In attesa di riforme strutturali il welfare aziendale può essere uno strumento importante per ridurre il gender gap in Italia

 

 

Nonostante in Italia il livello di occupazione cresca, il gender gap nel mondo del lavoro rimane. Una delle cause probabilmente è la scarsa diffusione di un welfare aziendale che bilanci meglio vita privata e lavorativa e che offra migliori possibilità di crescita per le donne. I dati vengono dal bollettino Istat, secondo cui gli occupati in un anno sono saliti del 2,6% tra le donne e dell’1,6% tra gli uomini, e anche tra dicembre 2022 e gennaio 2023 si è registrata una maggiore crescita tra le donne. Secondo il Gender Policies Report 2022, la pubblicazione dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) che ogni anno monitora le differenze di genere nel mondo del lavoro, il divario uomo-donna resta sempre sbilanciato a sfavore della partecipazione femminile a causa di una serie di criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici.

 

La situazione non migliora guardando più nello specifico gli strumenti che le aziende hanno a disposizione per incentivare l’occupazione femminile, come il welfare aziendale. I dati sulla conciliazione vita-lavoro mostrano infatti un mercato del lavoro italiano più rigido della media europea: le donne godono di minore flessibilità rispetto agli uomini (in particolare le lavoratrici laureate). Ma soprattutto le donne sono meno coinvolte nell’organizzazione degli orari di lavoro: in Italia nel 76% dei casi è il solo datore di lavoro a decidere l’orario di ingresso e uscita dal lavoro, contro una media europea del 57%. Divario meno marcato per gli uomini: in Italia il 68% rispetta le decisioni del datore di lavoro, contro la percentuale europea del 62%.

 

Se ci si focalizza sulle posizione di CEO occupate da donne nel 2022, si nota che queste, seppur di poco, sono aumentate rispetto all’anno precedente con il 20% nei vertici aziendali (erano il 18% nel 2021) e il 30% nei ruoli nel senior management (29% nel 2021). Sempre nel nostro Paese, le donne che detengono posizioni di leadership rappresentano oggi il 30% (più 1% rispetto al 2021). Nonostante il punto percentuale in più, l’Italia rimane in fondo alle 30 economie mondiali analizzate su questo fattore. Allo stesso tempo risulta in calo la percentuale di aziende senza presenze femminili nel senior management che attualmente si assesta al 12% rispetto al 23% dello scorso anno portando così l’Italia in linea con gli altri Paesi europei.

 

Sicuramente degli interventi strutturali da parte del governo e delle istituzioni (per esempio con il Pnrr) possono aiutare a incentivare l’occupazione femminile e a ridurre il gender gap, ma nel frattempo le aziende possono già cominciare a mettere in campo dei cambiamenti. Il costante aumento del numero delle imprese che considerano il welfare come una strategia di sviluppo sostenibile, anche nell’ottica dell’occupazione femminile, rappresenta un importante traguardo e un punto di partenza per dare una nuova svolta al mercato del lavoro. Per esempio garantendo più flessibilità di orari e nell’opzione dello smartworking, oppure allargando le maglie del congedo di maternità paternità e, ancora, intervenendo sulle misure inerenti alla disabilità e ai caregiver. Ma la strada è ancora lunga: sono ancora tante le aziende che considerano il welfare aziendale come un ambito secondario. Eppure si tratta di uno strumento molto utile che può aiutare a promuovere le pari opportunità e a ridurre le disuguaglianze di genere sul lavoro, favorendo una miglior work-life balance e coinvolgendo maggiormente le donne nello sviluppo aziendale.

 

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